L’esiliato

José María Álvarez

José María Álvarez

La vita che amai e quel che fu
il mio mondo.
A volte sogno se ancora
esiste.
Ma gli anni asciugano
il mio corpo
e abituo gli occhi ad accettare questo paesaggio come
l’ultimo.
Non disperare m’è costato molto,
benché sappia che la vita può solo
volgere al peggio.
A volte, per me e pochi
amici
pretendo quell’antico
splendore.
Come un assetato l’acqua, aspetto
la notte.
Allora cammino verso i bar
del porto,
e nella bellezza di qualche donna dimentico
l’esilio.

Istantanea

José María Álvarez

José María Álvarez

Veli di bruma, lontano, lentamente
attraversati da un sole di avorio liquido.
Il vento muove soavemente i capelli
che cadono sulla tua fronte, e la luce
ti fa chiudere gli occhi, che
per un attimo
mi
guardano. E quel sorriso, appena
accennato, segno
d’amor sereno, in pace, sicuro. In fondo,
nella luce di questa mattina strana,
la bellezza dei cipressi
di San Francesco del Deserto.

Venezia

José María Álvarez

José María Álvarez

È la Venezia che adoro
Dove sono felice Ma forse
Non l’amavo già prima di contemplarla
Non era stato quell’abbagliamento
Designato da antiche lamine da libri
Dove si racconta il suo destino?
Come scrivere era sempre stato lo spettacolo
Lunare degli Angeli di Rilke la Bellezza
La Stele degli Stuart di Canova
E così Parigi se fu la mia giovinezza
Sono evocazioni come se uscissero dalla nebbia di Verlaine
Di notiziari della Liberazione del 44
Il mio passo su quel ponte ripeteva
Quelli di Dante E il mio stupore davanti a Roma o Smirne o Istanbul
È quello di quanti mi hanno preceduto
E me l’hanno insegnato fuso coi miei occhi
Come io sarò in altri
Sopra le ardenti sabbie ho sentito
La presenza disperata di
Lawrence In ogni stagione la morte di Karenina
Davanti a paesaggi che amo o a certe tele
O emozionato di fronte a una facciata immagino
Che cosa avrebbero sentito lì Montaigne Stendhal Goethe
Come guardai i firmamenti siciliani
Con gli occhi del Principe E con Stevenson ho navigato
In cerca di fortuna e ogni terra nella lontananza
era quella che Hawkins vide uscire dall’alba
Nel capitolo XII de L’ISOLA
Tante donne non sono state che la Sfinge
Con la quale decoravo una storia
La cui contemplazione mi appagava
E in quante pagine
Di Shakespeare o di Tacito
O di Plutarco vidi sfilare attimi della mia vita
E al succedere in esse incastonarsi
Con il vasto respiro del creato
In quel campo di battaglia io notai
Il passo di Fabrizio
Del Dongo che avanzava pure in un altro sogno
La solitudine è il vento
Contro la fortezza di Essaouira
Qualcuno mi ha preceduto
Persino in me stesso nella passione
Per la Callas e nella lealtà
Al vecchio Sud Confederato
Un bambino che fui creò nelle sue notti
L’uomo che adesso scrive

Elegia

José María Álvarez

José María Álvarez

La sera sono solito passeggiare
accanto alle navi giunte in porto.
Contemplo il mare, gli uccelli.
Divento vecchio.
Dimenticatemi.
Desidero solo nobilitare i giorni che mi restano
ripetendo i vecchi versi, migliorandoli.
Quando scende la notte e il mio corpo s’incammina
in cerca di una donna,
vi ascolto mormorare al mio passaggio:
«Si fa vecchio, e non si cura
d’avere una casa, una famiglia».
Non amai vivere con una sola amante
come non è uno solo il paesaggio che mi piace.
Quanto ai figli, deploro non poco
la vostra cieca e rischiosa incontinenza.
Dimenticatemi
Le mie notti le regalo alle ballerine
dai piedi alati, ai loro favori il mio denaro.

La bambina di Duino

José María Álvarez

José María Álvarez

Fu in una mattina di settembre. Il mare risplendeva
come il sole in uno specchio. Io
venivo da Trieste, e mi fermai
in un piccolo ristorante vicino alla spiaggia
sotto il castello di Duino.
Assaporavo un bianco
eccellente e qualche riccio, quando
come in sogno, dalle acque
emerse una creatura fantastica.
Non aveva più di nove anni.
Lunghi capelli lisci come l’oro,
nuda, molto abbronzata. Che spuntava
dal mare come la luce
dell’alba. Mi passò accanto
lasciando al suolo le sue impronte
umide. M’innamorai del suo volto, dei suoi
occhi, di quelle forme
acerbe e perfette, la sua immagine
s’impadronì della mia anima. Il suo sguardo
non aveva fondo, con la forza
di chi ignora la sofferenza, ogni gesto
esaltava la bellezza
selvaggia di un mistero animale. Guardandola
compresi che m’era stato concesso
di contemplare qualcosa di sacro.
Era un dio al quale affidarti.
Pura lode.

Wuthering Heights

José María Álvarez

José María Álvarez

Fai portare
quanto t’è necessario. Non uscire.
Perché? Non ci sono luoghi
dov’essere felice.
Gli affari che ti danno
da vivere, risolvili al telefono. O scrivi
lettere, queste agli amici,
nel tuo stile migliore.
Di tanto in tanto, guarda
se arde la città. Tieni pulita
la tua 38. Cura
scrupoloso i tuoi rosai.
E sii orgoglioso se
gli uccelli fanno il nido
nel tuo giardino, che offre pace.
Sotto i suoi alberi aspetta la sera
e contempla il crepuscolo. Ringrazia
gli dèi per questa
magica stanza, per il giorno
vissuto, per i libri, la musica, i quadri
che salvi dalla Morte.
E quando pietra o pallottola romperà i vetri,
non alzare gli occhi
da quello che t’occupa; anzi, persi
nel paesaggio bellissimo dei tuoi libri
scegli l’edizione
più bella di Treasure Island.
E mentre popolino e soldataglia
con la stessa viltà si accoltellano,
tu leggi sereno, ascolta Rubinstein
interpretare Chopin. Accarezza
il tuo cane sulla fronte.
E a notte alta
dirigi i tuoi passi verso il sonno.