Ne la corazza sua di lava nera, presso l’azzurro mar, solo ed irato, scuro gigante levasi il Vesuvio e il cielo annebbia col suo denso fiato.
Pompei, Ercolano e Stabia a le sue falde come scheletri dormon dissepolti; il mare canta, mormora e riluce e sussurran de’ mirti i boschi folti.
Scende la notte, la natura tace, s’addormentano i boschi e il mar silente, e il vegliardo gigante sempre desto rischiara il cielo col suo fiato ardente.
Là dove vedi, superbo titano, lungo la tracia valle, levare al cielo l’eccelso Balcano le granitiche spalle;
là dove sulla base di granito, fra colline fiorite e verdeggianti alza la fronte ardito, e intorno echeggian di sussurri e canti le cascate, lo zefiro, gli uccelli, il fogliame, i ruscelli;
in quel cantuccio di gaiezza pieno, paradiso terreno, solleva muto le ingiallite chiome uno stira vegliardo e mesto come un ricordo silente del passato, fra novelle bellezze rinnovato.
C’è chiasso intorno: là tutto è silente, tutto è immerso nel sonno quotidiano, ed appena si sente della cascata il fragore lontano.
E quello stira placido e vetusto, sulla chiesetta con antichi santi, solleva il pino il suo fogliame augusto fino alle nubi nere sovrastanti.
I rami come un cedro secolare del Libano ha distesi e immerso pare in sogni sacri e misteriosi e intanto ombra fa intorno al tempio e al camposanto.
I più vecchi fra i monaci del sito lo ricordan tosi, sempre lo stesso, sempre grande così, né han mai sentito quando abbia qui le sue radici messo. E chi sa mai quante gloriose e quante gesta ricorda di cui è stato muto testimone nei secoli il gigante nella gloriosa vita che ha vissuto!
Ha vissuto così secoli interi in lotta eternamente con tempeste e tormente, e i rigidi invernali freddi e i fieri calori estivi scorsi senza traccia gli sono sulla faccia.
Ma quando giunse nel pieno splendore della bellezza sua, del suo vigore, un brutto dì un destino fatale proprio d’ogni mortale anche il pino colpì.
In una notte scura nera nera uno schianto terribile si sente, ed improvvisamente si scatena furiosa una bufera.
Rintronavan le valli e le campagne, fischiava il vento, ruggivan le montagne, sussultava il Balcano turbolento… Tutto travolse nella notte scura l’ira della natura.
Indomito, accigliato, altero come sempre e insofferente, lottò il gigante contro la tempesta, finché spossato chinò vinto la testa e al suolo cadde fragorosamente.
Eccolo a terra! Al suol giace supino: com’è grande e solenne a terra steso il secolare pino! del suo vigor compreso levava fino a ieri all’orizzonte l’altera fronte.
Della bufera si placò il furore poi che il gigante altero fu abbattuto, e cordoglio e rimpianto e culto e onore per l’insigne caduto fecero posto all’ira d’un minuto.
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