Una traccia iridata sopra i vetri ridendo lentamente muore — la mia presenza non è necessaria alla festa finale della pioggia ma dentro qualcosa che grida vuole uscire dal mite vortice d’ombra: tutto questo presente sparirà – tutto è e si disfa — come te anima mia che passi le vetrate per raspare il muro — ogni aria di ruggine o d’asfalto al delicato fiuto fatta vana. ———- Dov’è che vai — se tu stessa ———- ritorni e non ti fermi ———- anima sempreviva, intenerita: ———- passeggia a lungo — dopo si vedrà da MENO MALE
Respingo pregiudizi secolari, ricevo visite, lavoro e faccio spesa, sorsi di tenerezza dono all’albero ricco del mio sangue e intanto fino in fondo vivo questa morte nata con me ———- (nel continuo mutamento sempre me stessa ———- con le cose che amo creo la bellezza, ———- con quelle in cui credo libertà) Ma la sera una teoria di pietrose tastiere è bersaglio dolente per me sola mentre un’ala di gabbiano canuto oltre le sartie ferme del tempo mi germina infinite dimensioni scavando guance dal gemito roco ———- (non chiedetemi mai perché le scriva ———- queste cose totali dissepolte ———- ai margini dell’umana solitudine) Poi il vento che scava finestre riaccende un fumido faro per chi — come me — rimane ———- alla soglia
la notte ha ormai lunghe dita è tempo di pioggia e di vento, nei cesti noci funghi castagne quassù nelle case già s’accendono fuochi e tutto muta o s’avvita al sole sbiancato, luce di questa stanchezza stranita dove niente va perso, niente di lucida vita
Nell’allucinato plenilunio ———- la mia gazzella muove ———- leggera ———- per dirupati anfratti ———- a sterrare speranze sepolte ———- in cui morire. Ma quell’utopia suicida ———- è sale della terra, ———- è tremolante torcia ———- che illumina la storia ———- ben sapendone ———- il cieco disamore.
Per noi fu d’improvviso giorno quando dal vischio uscimmo della vergogna; tu scendevi la notte partigiano alla casa sicura di cibo ed io, bambina, stropicciandomi gli occhi oscuramente ti sentivo padre della mia libertà. Risalivi in collina col mitra portando piccole lotte sognate, velleità di vecchi e ragazzi: altro non chiedevamo, allora, che ritrovarci lassù quando il gallo frantumando la notte altre attese brevi porgeva e nell’aria allegre andavano canzoni.
Nei tuoi occhi s’arrotolano gridi ombre mobili di plenilunio ghiacciato alberi secchi e mutilati fiori: tu stai alle regole del gioco e fingi d’esplorare ancora ma altro tempo — felice — frastorna la memoria e già ogni esilio s’innerva nel tuo sguardo, ogni paura antica da LA CASA DI LIDE «…il punto tra memoria e desiderio si sposta, è alla deriva di un gorgo…» (Mario Luzi) E nel quasi-svegliarsi nella non-consistenza al di qua della soglia giovane ancora pensarsi con l’oro il riso la voglia ———- non capire nel grigio ———- confuso se è giorno di già ———- o speranza di alba ———- che neghi ———- quest’altra reale ———- barbarica età «Ecco, qualcuno ci dice: sì, tu mi entri nel sangue… Che giova, egli non può trattenerci, noi svaniamo in lui e intorno a lui…» (Rainer Maria Rilke) Per una volta entrare nell’altro che adesso in mezzo alla strada mi parla ——- — scambiare il mio sé col tuo io ———- i ricordi la pelle la bocca — vedere le cose diverse amarmi da fuori di fronte però chissà se il tuo io mi va stretto se l’occhio s’è accorto del glicine timido sulla ringhiera ——- — un universo tra plastiche stanche — di un gatto che passa col rosso di me che tremo per lui ———- che semino idee sull’asfalto ———- consumo parole nell’aria ———- facendo l’amore col vento… Ma almeno una volta più bello sarebbe scambiare la vita aprire una porta di un altro il sorriso sapere ——- — di un’altra pietà — LA LUCE
«… e ci saranno strofe d’amore che già sanno a memoria le case» (F. Garcìa Lorca) Già si spensero i vetri affocati del tramonto nelle stradette brevi della città ritorta verso un cielo in salita con esili braccia di pietra e il suo volto fasciato di silenzi prepara asfodeli di riso notturno tra rari lampioni e antiche ombre Sulla fragilità del marciapiede risuona il passo mio vagante dietro immagini sepolte all’arco del tempo incorruttibile: mi perdo in questo gioco estenuante che sempre cede il posto alle domande (dove vita s’annida batte ora un pipistrello cieco come pensiero inquieto ed assonnato)
Pronta di pietre alte in tramontana ———- (un balzo – quasi – e spazio) cuore rupestre del vento roditore e poi lampioni rari – stelle fanè in vetrina – e dita d’erbe/d’aria che sulle case ricamano sudari; il sole si ricerca nei cortili sopra il muschio dei pozzi scardinati tra gente che quieta tesse vita e pianamente parla – in ironia – L’anima vecchia della mia città ———- (confine e verde e vita) con le sue mura sapide, con gli archi – ventagli stretti al cielo – lega l’ossame etrusco ai nostri giochi ———- (acqua passata per le sue fontane) e nei vicoli occhiuti di balconi tra i grilli addormentati sui gerani le mie corse rubate al primo bacio Poi tutto vola – sai – ma lei traspare e di noi vibra, della nostra vita ———- (le occhiaie della storia, che ferita)
in noi una strana terra di nessuno che protegge le idee, le emozioni: qui aspettano a lungo la parola bella che le affranchi, ma quale lingua diversa, misteriosa, lì si dipana o si aggruma, quale respiro di libertà e di nascosto fuoco dilaga all’improvviso… Nasce un linguaggio nuovo, inaspettato o forse addirittura altro che per un attimo almeno attinge alla tua umanità e ti porta lontano dall’ottusa gravità della materia, dell’avere, del tempo: tutto questo forse un giorno si chiamerà poesia
Libero va, consegnato all’ignoto, ———- il pensiero sinuoso ———- per giochi alienanti ———- tra bianchi fogli da riempire ———- ed agavi riemerse dall’inconscio. C’è forse una speranza che resiste ———- a quest’oltraggio estremo: ———- qualche ombra di un’età sconfitta ———- stampata sul muro del ricordo ———- come un glicine riverso ———- sulla ringhiera di ferro arrugginito. da D’AMORE E D’ALTRO
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