Si tratta del libro futuro Che fosse un punto più in là una pagina più avanti un livre futur che attraverso sgorbi abbagli la griglia delle cancellature spuntasse non il mai-detto ma l’ombra di un errore nuovo arrabbattandosi come insettino nella merda scrittoria fifiltrando noia stupefatta ebefatta dellemirabil cose mai venute – così ricacciato in fondo al ventre di troia che non l’isbrottò
Leggendo i seminari come due interlocutori testardi a sopraffarsi a non lasciarsi sopraffare io decrepitando degrignolando verso l’anno della tua morte come per raggiungerti finalmente – ma tu folgori intangibile di genio nella pagina ti burli dell’età vegliardi doppi litigiosi macché se la scintilla del leggere del capire del non capire beatitudine estrema di ciò che prendi e non sai intercambia la giovinezza con i capelli ritti gli occhiali spiritati il gesto promulgatorio lui asceso alle strade del St Anne propaga corpuscoli vertiginosi polline dorato letturioso via per i cunicoli dei nostri lobi e sprizza un elettrico per ogni dove Proclàmati e subito ritìrati Gran Variago come un dio antico della nube Buon secolo dottor Lacan
in fondo trafugata in granai-smemorie disgregatisi per liquefazione de cerèbro (così squisito dicono e poetico!); già un crebro pulsare di microidee affluendo vive correnti di colpi vitali – frantumi o ciarpame trovarobato; in che ambulacro i lapilli del cervello “che fu sì vivo” (un pulsare emetteva radiazioni messaggi millenari); dove si sarà depositata quell’ombra nulla mobilia scranna bibelot di famiglia mentale: ciò che non fui e non scrissi; epperò eredità dell’Altro motto siderante enunciato olim e per sempre la fulgurante console
la fulgida consoleche naturalmente
non gli appartiene
(non mai imitabile Stéphane)
ripescarla dalla cisterna
di forsevita Ricominciare una poesia
(quella!) da capo anzi dal rovescio
con minime catastrofiche varianti
come se non fosse più lui ma l’assente
a correggere reinterpretare far nuovo
C’è del nuovo? Un fantasma pantofola
nel corridoio e anche questo fu già scritto
chissà meglio con onore
not so sweet now as it was before
*
rompete schiume schiene ai ponti
acqua dove non ci si bagna mai due volte
meravigliosa limpida ardente
io accompagnavo le Senne
non una le tante
venute giù dalle pagine dai sogni dalle camminate
lungo i parapetti
acquasenna macché di memoria d’acqua
perturbante di sperma schizzato
che allarga lo spacco del discorso
ormai balbettio d’infacundus
nel blocco cerebrale
e camminò intatto
nella pienità del dire
Non the Old Maestro enobarba enorme egoista e sublime intorno a cui si affollavano a rispettosa distanza gli stupidi ragazzini intimiditi – che fu amato da Olga- ojos claros in un arruffo di pel rosso e scrivo come in un testamento temendo che non passerò la notte Ho inciampato due volte per le strade di Milano e una voce mi dice Nun me fa’ la terza Ezra appuntò i nostri nomi rispettosamente su cartoncini colorati che ci innalzavano (non lo sapevamo) al suo paradiso e non osavamo articolare il nostro inglese di scolari Lui venuto in pigiama e pantofole heroico a passi sbiechi per il corridoio a farci fare il sogno d’incontrare la poesia. Come camusi! come sciocchi! ignari di ciò che saremmo stati anzi non saremmo mai stati quantités négligeables che mancavano al conto (ora so che quel pomeriggio è un cardine della mia vita) * Sono felice mi manda a dire (o almeno io leggo così in quel suo verso). Ma non mi rallegro lo invidio lo detesto perché non è ottenebrato come me. Mi vergogno di queste righe non perché siano belle o brutte ma perché cade anche l’acre resistenza alla emozione. non è una storia tragica e asciutta ma l’insopportabile guaito della bestia domestica.
Incrociando via Paolo Sarpi Stamattina una striscia di Paolo Sarpi brilla nel sole. Dalle devanture di un’ombra danzerina fa sponda a qualche pensiero epocale da appuntare sul quaderno. Ho sempre saputo che Milano conteneva fette di felicità per ciascuno. Ma invano, si capisce. Forse l’incrociammo a caso i mostacci barbouillés d’confiture troppi bambini per l’appuntamento. E’ rimasta lì cibo infando beato intatto. Questa poesia fu composta a mente la sera del 4 gennaio ’99 camminando con piè un po’ incerto (ma dignitoso) verso la morte.
Sono disceso io morto fra tante poesie come un visitatore fra le ombre dell’ade ma a chi può interessare ciò che ho visto sfogliando il libro di fogli come foglie che portano scritte la sentenza di Sibilla; supponendo un senso che sopravviva a ogni sgorbio di penna o battito di computer. Che senso puoi dare G. o chiunque tu sia? Ogni pagina foglio si spoglia di essere soggetto, sibila dolcemente scivolando nel sottomondo. MA:tants que mes amis ne mourront pas, je ne parlerai pas de la mort. * Si accenda nel fosforide gloriosa qualità della mente che promuove monstra et poèmas – te lo scrivo nella lingua meticcia in cui spiccicare finalmente “quel che ho da dire” (cara immagine fraterna di un tal scrivente nomato Antonio Porta) – ma che si accenda?
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