Ma se pure restasse solamente menzogna e derisione, e domani, sommessa al tuo destino, seguissi la tua via insieme a lui; se pure, contro quanto oggi neghi, cadrò dalla tua mente, non basta l’illusione che mi hai dato di resistere al monito del nulla, non basta la certezza di saperti una parte di me mai più recisa, a dirmi che non tutto è stato vano tranne la vanità di questo tutto?
Ma nella notte, dopo una giornata spesa a pensarti e a desiderarti, lentamente mi acqueto, e realizzo che il nostro sogno è morto. E quando questo lezzo cadaverico sarà dissolto anch’esso, resterà solo cenere, cenere: l’avanzo naturale di ogni fiamma.
L’infimo stadio di una relazione è certo quello in cui l’amore cessa. Ché se crudele è il male che si rende a chi una volta promettemmo gioia, più delittuoso ancora è domare un sentire irrequieto, per rassegnarsi all’impoverimento con cui, giorno per giorno, la morte realizza dentro noi il suo basso disegno.
L’essenza di un amore è nei ricordi che gli sono associati e che ridesta un odore, una musica, un paesaggio, un sapore, uno sfrego della cute. Sono i rinvii che lo fanno vivo e resistono ancora nell’assenza, come un mattone sopravvive al sole o l’esca fosforesce oltre la luce. Ed è questa memoria, catturata da una folla di specchi rifrangenti ognuno una monadica parvenza, che amiamo più della sorgente stessa.
Oggi ho sperimentato, io che di matematica so nulla e non capisco un’acca della fisica, niente niente il concetto di infinito. Non perché cielo e lago si specchiassero complici l’un l’altro; non perché il treno andava verso destinazioni che ignoravo; e non perché le ciarle della tua conoscente occasionale fossero interminabili e abissali, ma soltanto perché senza parlare mi sedevi di fronte, e mi guardavi: e ciò che si stagliava tra di noi, quello era l’infinito!
Quando non vedrò più le tue pupille, sarò meno assetato di visioni; quando non udrò più le tue inflessioni, sarò più prigioniero dei rumori; quando non gusterò più le tue guance, il mondo sarà fatto inappetente; quando non toccherò più le tue mani, ritirerò le mie da altre offerte; quando non sentirò più il tuo profumo, l’olfatto sarà saturo di odori. Quindi, tra l’indolenza e la morte dell’anima non resterà che un passo: dopodiché, soltanto la memoria, con la sua impietosa compagnia, si frapporrà tra me e l’altra morte, definitiva, eterna, della carne.
Non una sola volta la mia voce si è fatta impersonale in questi versi, intesa ad evocare gesti e affetti di un colloquio privato. Pure, ogni volta che li ripercorro, è come se una ferita antica vi sciogliesse un dolore senza tempo: e tutto quanto abbiamo sopportato, gli obblighi e le rinunce, il male che facciamo o riceviamo, ci accomunassero fraternamente a tutti quelli, come noi, gettati in un mondo che offre per negare. da INCONTRO (CANZONIERE PRIMO)
E come crederei, in questo andare, alla tua permanenza per la via, se appena sei lontana sorge il dubbio? E come affermerei, in questo stare, che la mia fiamma ti lambisca tutta, se ogni guizzo di donna la rinnega? E come, tra sospetto e infedeltà, giuriamo tutta-via sempiterna una labile intesa fatta solo di attimi?
Separato da te per giorni e giorni, ti inseguo col pensiero, e per fissarti ti proietto nei luoghi più diversi. Quando infine un bagliore mi ridà il tuo indirizzo: e scopro che quei siti materiali, e la persona tua che li percorre, non sono che prodotti della mente: e per averti quindi non mi occorre uscire da me stesso.
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