GEO MILEV
D’inverno la fredda foresta
mi apre dinanzi tristi sentieri
si spegne profondo tra le nere fronde
l’alba – precoce – una piaga.
Mi porta il mondo in posti tremendi
me – ansiosa e fumida, in paludi deserte
– oh foresta mia nera sorella!
Il tuo nero fogliame,
le mie lacrime piangon – ripetono, con lentezza, con amarezza
la preghiera, il gemito, il mio richiamo:
Ohimè, dov’è lui!
(Laggiù – mi chiama forse la tomba del mio amor dolente.)
Giorno e notte
senza requie
dappertutto io lo cerco
e nel mondo
avanzo
coi piedi lacerati, senza vigore
– in fondo alla notte è il cuore –
notte e giorno
senza requie
mille anni
mille secoli:
ohimè, dov’è lui?
E lancia il vento invernale
un grido gelido e affliggente
– un gemito pietrificato –
nel buio del dolore senza sofferenze
svanisce – la terra – allontanata.
Oh foresta mia nera sorella!
Il sole in caverne mute lo ammazza:
in notti orrende senza luce, senza stelle
egli risorge e nel sangue sguazza
agli incroci intrecciati nelle basse valli.
Il mio dolore lo raggiunge
– un incorporeo fantasma.
Rosso dagli omicidi, nero dalla nebbia morta,
egli entra nel mio sogno
(mentre dormono le icone)
sul far dell’alba – uno straniero atroce
(mentre dormono le icone)
e getta ai miei piedi
camicie insanguinate, teste nere
(mentre dormono le icone).
Non ho più viso – non ho più occhi
– oh sorella mia nera foresta!
Dinanzi a me il sentiero si torce
in una spirale amara, sotto l’alba funesta.