Forugh Farrokhzad
Nella mia fuggente notte, ahimè!
Il vento dà udienza alle foglie degli alberi.
Nella mia fuggente notte incombe l’angoscia della desolazione.
Nella mia fuggente notte, ahimè!
Il vento dà udienza alle foglie degli alberi.
Nella mia fuggente notte incombe l’angoscia della desolazione.
Più di così,
sì molto più ancora
si può restare in silenzio
Per ore,
con lo sguardo immobile dei cadaveri,
si può fissare il fumo di una sigaretta
la forma di una tazza
un pallido fiore sul tappeto
un vago tratto sul muro
Con le rigide dita
si può scostare la tenda
e guardare fuori la pioggia che batte,
il bimbo e l’aquilone dipinto
sotto il porticato
e il vecchio carro
attraversare chiassoso la piazza deserta
Vicino alla tenda
si può restare immobili
senza vedere, senza sentire
Con la voce aliena e artefatta
si può gridare forte
“Io amo”
Tra le braccia vigorose di un uomo,
si può essere una donna sana e bella
Con il corpo dalla pelle tesa
con i seni duri e pieni
si può inquinare
nel letto di uno sbronzo, un randagio, un folle
la purezza di un amore
Si può beffare con astuzia
ogni incomprensibile enigma
e accontentarsi di un cruciverba
Si può essere felici
di una risposta banale di cinque o sei lettere,
sì, una risposta banale
Ci si può inginocchiare,
tutta la vita, a testa bassa,
innanzi a un santuario freddo
Si può vedere Dio in una tomba ignota
Si può credere in Dio
Per una piccola moneta
Si può lentamente marcire
come un vecchio predicare
nelle piccole stanze di una moschea
Si può, come lo zero,
nelle divisioni e nelle moltiplicazioni,
restare sempre immutati
si può considerare il tuo sguardo di rancore
il bottone scolorito di una vecchia scarpa
e come l’acqua prosciugarsi nel proprio fossato
Si può nascondere timidamente
in fondo a un vecchio baule,
come una buffa istantanea in bianco e nero,
la bellezza di un attimo
Si può appendere
nella cornice vuota di una giornata
l’immagine di un condannato, vinto crocefisso
si possono coprire,
dietro le maschere, le crepe del muro
o aggiungere ancora altre inutili figure
Si può guardare al proprio mondo
con gli occhi vitrei della bambola meccanica
Si può dormire in una scatola di panno ruvido
con il corpo riempito di paglia
tra pizzi e perline
e a ogni volgare pressione delle dita
gridare invano
“oh, come sono felice”
Ho peccato, peccato, quanto piacere
nell’abbraccio caldo e ardente ho peccato
fra due braccia ho peccato
accese e forti di caldo rancore, ho peccato.
Saluterò di nuovo il sole,
e il torrente che mi scorreva in petto,
e saluterò le nuvole dei miei lunghi pensieri
e la crescita dolorosa dei pioppi in giardino
che con me hanno percorso le secche stagioni.
Una finestra per vedere
una finestra per sentire
una finestra che come bocca di un pozzo
giunga in fondo al cuore della terra.
Perché fermarmi, perché?
Gli uccelli sono partiti in cerca di una direzione azzurra.
L’orizzonte è verticale,
L’orizzonte è verticale e il movimento: zampillante
E, al limite del visibile,
Ruotano, luminosi, i pianeti.
Alle altitudini, la terra rinnova il suo ciclo,
I pozzi d’aria
Si trasformano in tunnel di collegamento
E il giorno è una distesa
Che le limitate idee del verme del giornale non racchiudono.
Ah se in questo silenzio
con questa purezza
tu diventassi terra tra le mie braccia,
in questo silenzio, con questa purezza
tra le mie braccia
sotto l’ombrello dei miei capelli
quando il terreno del mio giovane corpo
ti beve
come una pioggia delicata
o una carezza di luna.
Più sola di una foglia
Carica delle mie migrate gioie
Nelle verdi acque d’estate
Remo adagio
Fino al territorio della morte
Fino alla riva delle tristezze autunnali
In un’ombra mi sono abbandonata
Nell’ombra ineffabile d’amore
Nell’ombra fuggente della felicità
Nell’ombra delle caducità
Le notti in cui gira una brezza confusa
Nel basso cielo nostalgico
Le notte in cui s’avvolge una nebbia sanguinante
Nei vicoli azzurri delle vene
Le notti in cui siamo soli
Soli con la scossa del nostro spirito
Sgorga tra i battiti del polso
Un senso di vita, di vita malsana
“V’è un segreto nell’attesa delle valli”
L’hanno inciso sulle cime dei monti
Sulle imponenti pietre
Quelli che sull’orlo del proprio precipizio
Una notte colmarono il silenzio delle montagne
Di un’amara supplica
“Nell’ansia delle mani piene
Non v’è la quiete delle mani vuote
È bello il silenzio delle rovine”
Cantava una donna nelle acque
Nelle verdi acque d’estate
Pareva vivere nelle rovine
Noi ci contaminiamo
L’un l’altro coi nostri respiri
Ci contaminiamo con la virtù di felicità
Noi temiamo la voce del vento
Noi per la penetrazione dell’ombra del dubbio
Nel giardino dei baci impallidiamo
Noi in tutte le feste del castello di luce
tremiamo dallo spavento del crollo
Ora tu sei qui
steso come il profumo delle acacie
Nei vicoli del mattino
Sul mio petto pesante
Nelle mie mani bollenti
Nelle mie chiome perdute, bruciate, attonite
Ora tu sei qui.
Qualcosa di vasto, oscuro, fitto
Qualcosa d’inquieto come la voce lontana del giorno
Sulle pupille mie sconvolte
Gira e si stende
Forse qualcuno mi separa dalla fonte
Forse qualcuno mi coglie dal ramo
Forse qualcuno come una porta mi chiude ai momenti venturi
Forse…
Non vedo più.
Noi su una terra futile siamo cresciuti
Noi su una terra futile pioviamo
Il “nulla” abbiamo incontrato
Che galoppava come un re
Sul suo dorato corsiero alato
Ahimè, siamo felici e quieti
Ahimè, siamo nostalgici e silenti
Felici perché amiamo
Nostalgici perché l’amore è maledetto.
Nell’oscurità
T’ho chiamato
C’era il silenzio, e la brezza
Che sventolava la tenda
Nel tediato cielo
Una stella ardeva
Una stella passava
Una stella moriva
T’ho chiamato
T’ho chiamato
Tutta la mia esistenza
Come una ciotola di latte
Era fra mie le mani
Lo sguardo azzurro della luna
Toccava i vetri
Una triste canzone
S’innalzava come fumo
Dalla città delle cicale
Come fumo scivolava sulle finestre
Tutta la notte là
Nel mio petto
Qualcuno dalla disperazione
Ansimava
Qualcuno insorgeva
Qualcuno ti desiderava
Qualcuno le sue mani fredde
Di nuovo respingeva
Tutta la notte là
Dagli oscuri rami
Una tristezza si versava
Qualcuno di sé si meravigliava
Qualcuno a sé ti invocava
L’aria come maceria
Su di lui crollava
Il mio piccolo albero
Era innamorato del vento
Del vento vagabondo
[Ma] dov’è la dimora del vento?
Dov’è la dimora del vento?
Mai ho desiderato
Essere una stella nel miraggio del cielo
O come gli spiriti degli eletti
Essere compagna silente degli angeli
Mai stata divisa dalla terra
Né confidente con la stella
Ferma sono sulla terra
Con il corpo che come stelo d’una pianta
Succhia il vento, il sole, l’acqua
per vivere
Feconda di voglia
Feconda di dolore
Sulla terra io sono ferma
Affinché le stelle mi adorino
Affinché le brezze mi accarezzino
Dalla mia fessura guardo
Non sono altro che l’eco di una canzone
Eterna [certo] non sono
Nel gemito del piacere che più puro
È del semplice silenzio di una tristezza
Tranne l’eco di una canzone non cerco
In un corpo che è una rugiada
Sull’iris del mio corpo
Dimora non cerco
Sulla parete della mia capanna che è la vita
Colla grafia nera d’amore
I passanti
Hanno disegnato ricordi:
Cuore trafitto da freccia
Candela rovesciata
Silenti pallidi punti
Sulle lettere scomposte di pazzia.
Ogni labbro che toccò il mio
Una stella concepì
Nella mia notte che si posava
Sul fiume dei ricordi
Allora perché mai desiderare una stella?
Questa è la mia canzone
Bella e gradevole
E prima di questo non v’era più di questo.