Federico García Lorca
I labirinti
creati dal tempo
svaniscono.
(Rimane solo
il deserto).
Il cuore,
fonte del desiderio,
svanisce.
(Rimane solo
il deserto).
L’illusione dell’aurora
e i baci
svaniscono.
Rimane solo
il deserto;
l’onduloso
deserto.
I labirinti
creati dal tempo
svaniscono.
(Rimane solo
il deserto).
Il cuore,
fonte del desiderio,
svanisce.
(Rimane solo
il deserto).
L’illusione dell’aurora
e i baci
svaniscono.
Rimane solo
il deserto;
l’onduloso
deserto.
Non portar via il tuo ricordo.
Lascialo solo nel mio cuore,
tremore di bianco ciliegio
nel martirio di gennaio.
Mi separa dai morti
un muro di brutti sogni.
Soffro pene di giglio fresco
per un cuore di gesso.
Tutta la notte nell’orto
i miei occhi come due cani.
Tutta la notte, mangiando
le cotogne di veleno.
A volte il vento
è un tulipano di paura.
È un tulipano malato
l’alba d’inverno.
Un muro di brutti sogni
mi separa dai morti.
L’erba copre in silenzio
la valle grigia del tuo corpo.
Per il tempo dell’incontro
la cicuta sta crescendo.
Ma lascia il tuo ricordo
lascialo solo nel mio petto.
La notte non vuole venire
perché tu non venga
e io non possa andare.
Ma io andrò
benché un sole di scorpioni mi mangi la testa.
Ma tu verrai
con la lingua bruciata dalla pioggia di sale.
Il giorno non vuole venire
perché tu non venga
e io non possa andare.
Ma io andrò
portando ai rospi il mio garofano morsicato.
Ma tu verrai
nelle cupe cloache dell’oscurità.
Né la notte né il giorno non vogliono venire
perché io muoia per te
e tu per me.
Io vorrei stare sopra le tue labbra
per spegnermi alla neve dei tuoi denti.
Io vorrei stare dentro il tuo petto
per sciogliermi al tuo sangue.
Fra i tuoi capelli d’oro
vorrei eternamente sognare.
E che diventasse il tuo cuore
la tomba al mio che duole.
Che la tua carne fosse la mia carne,
che la mia fronte fosse la tua fronte.
Tutta l’anima vorrei che entrasse
nel tuo piccolo corpo,
essere io il tuo pensiero, io
il tuo vestito bianco,
perché tu t’innamori
di me d’una passione così forte
che ti consumi cercandomi
senza trovarmi mai.
E perché tu il mio nome
vada gridando ai tramonti,
chiedendo di me all’acqua,
bevendo, triste, tutte le amarezze
che sulla strada ho lasciato,
desiderandoti, il cuore.
E intanto io penetrerò nel tuo
tenero corpo dolce
essendo io te stessa
e dimorando in te, donna, per sempre,
mentre tu ancora mi cerchi invano
da Oriente ad Occidente,
fin che alla fine saremo bruciati
dalla livida fiamma della morte.
Unisci la rossa tua bocca alla mia,
o Estrella gitana!
Sotto l’ora solare del mezzogiorno
morderò la mela.
Fra i verdi ulivi della collina
c’è una torre moresca,
colore della tua carne campagnola
che sa di miele e d’aurora.
Mi offri nel tuo corpo ardente
il divino nutrimento
che dà fiori al ruscello quieto
e stelle al vento.
Come ti sei data a me, luce bruna?
perché mi desti pieni
d’amore il sesso di giglio
e i seni sonori?
Fu per la mia tristezza?
(Oh, miei goffi passi!)
Forse destò pietà in te
la mia vita spenta di canti?
Perché non hai preferito ai miei lamenti
le cosce sudate
di un San Cristoforo contadino
pesanti in amore e belle?
Danaide del piacere sei con me.
Femminile Silvano.
I tuoi baci odorano come il grano
secco dell’estate.
Oscurami la vista col tuo canto.
Sciogli la tua chioma
dispiegata e solenne come un manto
d’ombra sopra i prati.
Dipingimi con la bocca insanguinata
un cielo d’amore,
su un fondo di carne, la stella
violetta del dolore.
Prigioniero è il mio pegaso andaluso
dei tuoi occhi aperti,
e volerà desolato e assorto
quando li vedrà morti.
Anche se tu non m’amassi, t’amerei
per il tuo sguardo cupo
come l’allodola ama il giorno nuovo
per la rugiada.
Unisci la rossa tua bocca alla mia,
o Estrella gitana!
Lasciami sotto il giorno chiaro
consumare la mela.
Che dolcezza infantile
nella mattina tranquilla.
Gli alberi tendono
le braccia verso terra.
Un vapore tremulo
copre i seminati
e i ragni tendono
le loro strade di seta:
raggi sul cristallo
pulito dal vento.
La luna cammina sull’acqua
Com’è tranquillo il cielo!
Va segando lentamente
Il tremore vecchio del fiume
mentre un ramo giovane
lo prende per uno specchio.
Sull’Est River e sul Bronx
I ragazzi cantavano mostrando le proprie cinture
Con la ruota, l’olio, il cuoio e il martello.
Novantamila minatori estraevano l’argento dalle rocce
E i bambini disegnavano scale e prospettive.
O pioggia silenziosa, senza burrasca
e senza vento,
pioggia serena e pacifica di campi
e di dolce luna:
pioggia buona e pacifica, vera pioggia
quando amorosa e triste cadi sopra le case.