Fu allora che finsi la mia vita. Fui nel sogno cattivo del risveglio il sonaglio distorto di un’anima. Vivo. In un corpo vivo. Il tempo mi tenne a battesimo. Ebbi squame, penne e questa pelle glabra. Volai come falcone strisciai come cobra percorsi la mia scala fino in fondo. Fui – nel mondo implacabile la preda e il predatore, l’osannato carnefice, la vittima. Odiai il declino del mio corpo di uomo, la mia timida mente indurita e la lenta spirale avvolgente delle mie giornate reticenti. Lasciai la mia anima impaurita imputridire nel coro dei pubblici lamenti, uno diverso, infine, anch’io uno di loro, nella complice cortesia del mondo.
Il cuore si contamina di cose. La casa è un abitacolo sospeso che colleziona oggetti e inibizioni. Le sentirò arrivare, le stagioni una sull’altra, in mezzo a questi cippi di memoria, scorgendo la finestra a cornice sul mondo. La stanza si distende in proporzioni di vita: il tavolo con tutti gli accessori, le seggiole, e poltrone, soprammobili, il cimitero della libreria e quadri al muro come esecuzioni o vie di fuga impossibili. La mia foresteria.
Il suono delle chiavi allarma i cani. Guardano con occhi supplici muovendo appena la coda indecisa. Temono la casa vuota e il tempo dell’attesa come un lamento infinito. Sarà un’ora o forse un giorno o forse sempre. Il tempo si dilata. Niente trascorre, niente lo riempie. da:Colori e altri colori (Firenze, Passigli, 2014)
La stagione prolissa dell’infanzia si è barricata nella mia memoria lascia filtrare qualche resto opaco che mi compone e si compone forma Al passo del suo tempo ho costruito l’anello che mi lega alla scrittura pura insostanza immagine figura che mi compone e si compone forma Il battito del sangue è nella pagina ma nel bianco che riga le parole il bianco che le sfugge e che le anima e le compone e mi compone forma
Poeta dai tacchi alti, mi presento: vedi la fanciulla in groppa al demonio inzuppata di fede? Distilla umori per la zuffa dei liquidi, si prepara. Io sento dall’alto dei miei tacchi l’amara voglia che la rappresenta. Sulla soglia del tempio si tormenta, vergine insoddisfatta, e conta i passi che la separano dal sospirato scempio. Il poeta è un uomo galante. Vuole sempre spararsi con stile. Le offrirà il suo esempio di vile clemenza, lui reduce dall’inferno. Le porgerà la mano guidandola all’interno, lui vergine emancipato. Le parlerà di un amore eterno rimboccando le maniche da impiegato.
Sono arrivati gli alberi. Li ho visti abbracciarsi sotto il campo di casa stringersi tra le balle di fieno. Alle porte del bosco si sussurra che il vento deve ora scomparire nel fondo della valle acquattarsi nel fiume tra le rocce lasciarli liberi. La mattina è azzurra di sereno. La città è svanita con un tonfo di luci nella notte. Sono tornati gli alberi. da:Colori e altri colori (Firenze, Passigli, 2014)
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