VIA PARINI

Fabio Scotto

Fabio Scotto

I
La calce sugli scalini
Via Parini, 3
Io bambino
fra muratori bestemmiatori
nella pausa di mezzogiorno
Mortadella e vino
in canottiera
Mosche sulle mani
mosche e tafàni
il sole dritto
come un coltello
Croci pendenti tra peli sul petto
e scarponi nicotina
unghie nere
a graffiare l’aria
Le bocche aperte
se solo appariva
dalla finestra socchiusa della toilette
il bel seno della signora francese
Si pettinava nuda allo specchio
Altra vita
Altro pane
IV
La mamma mi ha portato da Maria Grazia
una sera fresca di fiori
La casa è pulita
ne rivedo gli odori
la foto sul comodino
lenzuola medicine
Le mani dentro il silenzio
La bara al centro
aperta sul tavolo
la camicetta bianca
«Fabio, dalle un bacino…»
Sembrava viva
Dormiva
VIII
Le righe disegnate in terra col bastoncino
confini di polvere
tra il cancello e i garages
davanti a casa
Arrivavano dalle vie vicine
altri bambini
gladiatori in maniche corte
sul terreno di gioco
Palla avvelenata
dopocena
destrezza e mira
nella frescura
Papà e mamma al balcone
ridere
Lontana
una televisione accesa
Colpiti si moriva
Liberàti s’usciva
dalla gabbia di cartone
Dolce sera
Soffice palla-luna prigioniera

CHRISTIAN BOLTANSKI, Saynètes comiques

Fabio Scotto

Fabio Scotto

Il compleanno è dietro
disegnato
oltre è la smorfia clownesca
del narrato
fluire di pala
polittica quotidiana
umana
come candele
prima o poi da spegnere
per la festa del morto
se la lingua a penzoloni
commossa attende
la Prima Comunione
e la macchia rimane
Prove ai sali d’argento
e inchiostro bianco su cartone

DELOS

Fabio Scotto

Fabio Scotto

Je ne veux pas
d’autre secours que
celui-là: vous
parler. –
Gide,
L’immoraliste.
Sorge dal mare
nel suo antico dono
di marmi a sorreggere la sabbia
Onde la scuotono
in una quiete bianca
che è sale sul sogno di Cleopatra
Sali verso il sole
sospinto da Dioniso
sul monte Cinzio
imprendibile
come il mio cuore
Lontani i mulini di Myconos
a inventare il vento
che ci toglie gli occhi
In questo nulla
respiro il tempo
schernito dai gabbiani
Vorrei parlarti
senza parlare
come fa il vento
da sempre
su queste mani
Myconos, 22.8.1986
(chiedi un succo d’arancia
e ti portano un’aranciata…)

I PASSI LENTAMENTE DALLA SCALA

Fabio Scotto

Fabio Scotto

I passi lentamente dalla scala
l’odore chiuso della geriatria
La stanza silenziosa
letti paralleli
la flebo in gola
il sole
fuori
ora che non c’è più lotteria
«Ti ha scritto la Alda,
dice che sta bene…»
– e l’infermiera giovane arrossiva
cercando la febbre sotto le lenzuola.
È qui che adesso vivi
se è la vita
dopo quel brusco salto
forse candeggina
e il grido spaventato dei vicini
(Avevo cinque anni
mi guardavi
giocare tra le ombre dei giardini).
Ora c’è solo un rantolo di mani
e occhi chiusi
disperatamente azzurri
Restiamo
luglio conta i tuoi respiri
E più non parli
più non chiami
La morte morirà ma tu rimani.

IL MAESTRO E UNA MARGHERITA

Fabio Scotto

Fabio Scotto

a Elisabetta P.
Chi è
fondamentalmente
un maestro prende
ogni cosa sul serio
soltanto in
relazione ai suoi
scolari – perfino se
stesso.
Friedrich Nietzsche
Di quale stella è dimmi quel sorriso
che ti attraversa sorridendo il viso?
Quando dal più profondo sento amore
E tu mi chiami ancòra “Professore”
Gli occhi belli di pianto mi hai guardato
Ed ho tremato
Vorrei che fosse vera questa gioia
Per ogni volta che la notte se l’ingoia
Quando ti vedo timida guardarmi
E per difendersi non ci sono armi
Se ti avvicini un poco
mi assorbe il gioco
della tua bocca ciclamino
———
Avremo un bambino?
Elisabetta abbraccia le compagne
Un cigno viola
nel corridoio della scuola
Soltanto il tempo di spiegarti
——
senza parole
le carezze verdi
Ti porterei, sole
nei prati
margherita che li hai spettinati
Altéra tra i compagni
a Parigi
quella sera
La luna tra i capelli
e una maglia nera
Se tuo è quel viso che mi percorre il sonno
voglio dormire ancòra
fino a mezzogiorno
Un giorno ci sarà con te l’amore
Lo invidio già nei battiti quel cuore
Come mi pensi,
se mi pensi,
fogliolina?
Un gioco?
Un principe?
Un idiota?
Una storiellina?
Mi porgi le sopracciglia perché
le baci
Anche all’aria piaci

IL RUMORE DEGLI OCCHI

Fabio Scotto

Fabio Scotto

La schiena
arcuata pace vertebrale
dai glutei alle spalle
affluenti del mare
dorsale mosso dai singulti
più non vedo il volto
affonda nel cuscino
sono lontano vicino
e tenera percorre la scialuppa
il fianco
Sono stanco
rido e piango
vivo del tuo rapido voltarti
in cerca del tuo naso siamese
sul mio e tutta si confonde
l’azzurra cecità del corpo
Sei Brasile, Eurasia
pioggia di grande nube
monsonica abissale
e lieve ragno tenace
crudele alla posta
in attesa della mosca
bianca
Mi ascolti il cuore
esce dal costato
andato anche lui
tra i morti
a valle del poema
da L’INTOCCABILE

L’ULISSE SIVIGLIANO

Fabio Scotto

Fabio Scotto

Risalgo
con le foglie
per i rami
in testa un cappellaccio sivigliano
Del giorno che si scorcia non mi curo
amo le geografie della tua mano
Esci
dinamitarda tenerezza
corruccio degli amanti aggrovigliati
Scommetto che sei figlia della brezza
per questo più ti odio e più mi piaci
Oltre le porte strette
oltre il mare
avvolti da una fresca chiara d’uovo
Son nuovo
nella chiglia
Ulisse vedi
Immobile sul letto
Eppur mi muovo

LA CLESSIDRA DI RODI

Fabio Scotto

Fabio Scotto

Nell’Ade
da ieri
con trasporto
a Rodi
Sogno di Nembo Kid mangiato dai ladroni
carezze e suoni uniti in un tuo schiaffo
Solo
e non soltanto uomo d’oggi
Saffo dai piedi piccoli
di geisha
Le luci le nascondo agli occhi
le lune me le mangio a morsi
principe del cosmo su poltrona
senza più velluto
in punta al mondo
Baciami senza bocca
ti udirò senza orecchie
senza corpo ferire
Guardami dagli occhi
con un sorriso azzurro
Sono del sogno il sogno
la tua clessidra anemica
sabbiando
da IL BOSCO DI VELATE

LA PALUDE

Fabio Scotto

Fabio Scotto

Un bien-être si actif qu’il était presque une joie emplissait le
marcheur…
… Une totale liberté naissait du départ
Marguerite
Yourcenar, L’Oeuvre au Noir.
I
Si andava in quattro
o cinque
in fila indiana
l’estate
coi ginocchi già sbucciàti
La strada a un certo punto
a
c
bifor
v
a
non mi ricordo
da che parte andammo
II
Davanti i temerari
dietro gli altri
le scarpe da ginnastica
le biglie
Qualcuno ritornava indietro prima
e sui ginocchi già le cicatrici
III
D’un tratto quel sentiero restringeva
fino ad un ponticello malridotto;
oltre, frasche più fitte
un’ombra
un fosso
il piede cigolava al primo passo
la paura
in quel batticuore
da non dire
da dimenticare
sotto la maglietta
IV
Una palude bianca
in una c a l m a
senza vento
o forse gialla, grigia
mutevole a guardarla
come il tempo
Nessun marziano vi era
o mostro
o tigre del Bengala
né l’uomo nero
(viveva in fondo al sottoscala)
V
Eppure si muoveva
come polenta
chimica laguna
«Non ci andare,
che se ci cadi dentro…»
pareva di sentirsi richiamare
da
g i ù
nel fondo
da una testa bruna
VI
I giochi più incoscienti
a pelo d’acqua
qualcuno già ostentava sigarette
tra tremolanti denti
e latta e muschio
e dio e demonio
in bilico
nel limbo dei litigi
VII
Hai pianto
non so quanto
che le lentiggini
sembravano più scure
della palude stessa
della nube
Sul capo minacciava un temporale
Angera era alle spalle
un minareto
la valle cieca del segreto
principe delle genziane
VIII
Ne ritornammo
forse
che il naso s’era fatto freddo
alle sei le prime gocce addosso
che le sberle comunque
le avremmo prese lo stesso
Tanto valeva bagnarsi
fino al midollo
del segreto
nelle tasche figurine
e una lumaca scura
grossa così
per far paura
alle bambine

LEGGI RILKE

Fabio Scotto

Fabio Scotto

Il viso incollato al vetro del treno
lui lo tieni negli occhi
finché l’inghiotte la calura dei binari
a Firenze Santa Maria Novella
Ora siedi
abbracciandoti i fianchi
in un lutto d’arti
istantaneo
eterno
L’umido d’occhi
medicato dal kleenex
sulle ciglia lunghe
quella lacrima bambina
già scesa e inafferrata
che ancòra non scorre
sul velo delle gote
sole
di taglio sui sandali
occhi immensi grigi
avidi d’aria
Leggi Rilke
nel pomeriggio che rimane
la mano nervosamente affondata
nel sacchetto delle patatine
Mangi in fretta
ferite
Mordicchi sulle dita affusolate
pellicine di dolore
Mostri i denti bianchi
dopo un sorso d’acqua
lo sguardo accarezza i fogli
annotati in tedesco
s’espande
s’arresta sospeso nel vuoto
L’aria non si muove
Domani l’esame
– «Chiamerà dopo le nove?»
Non sentire la voce
Misuro annullata
la distanza delle labbra
Vorrei baciarti i piedi
con moltiplicate bocche
esserti seta fresca
farfalla sul pube
Già Milano Centrale
Il corpo stancamente verso l’uscita
da dietro
rallentando
poi più nulla
Nel metrò Annie Lennox canta
«How many times do I have to try to tell you…»
e “Why” è una corolla d’ombra
Ma scioperano le api
tutto scioglie il vento
come d’ali senza volo
ignote
Solo sapessi il nome
morirei peggio questa nuova morte
E ancelle nella saliva
di ghiaccio
devote