I La calce sugli scalini Via Parini, 3 Io bambino fra muratori bestemmiatori nella pausa di mezzogiorno Mortadella e vino in canottiera Mosche sulle mani mosche e tafàni il sole dritto come un coltello Croci pendenti tra peli sul petto e scarponi nicotina unghie nere a graffiare l’aria Le bocche aperte se solo appariva dalla finestra socchiusa della toilette il bel seno della signora francese Si pettinava nuda allo specchio Altra vita Altro pane IV La mamma mi ha portato da Maria Grazia una sera fresca di fiori La casa è pulita ne rivedo gli odori la foto sul comodino lenzuola medicine Le mani dentro il silenzio La bara al centro aperta sul tavolo la camicetta bianca «Fabio, dalle un bacino…» Sembrava viva Dormiva VIII Le righe disegnate in terra col bastoncino confini di polvere tra il cancello e i garages davanti a casa Arrivavano dalle vie vicine altri bambini gladiatori in maniche corte sul terreno di gioco Palla avvelenata dopocena destrezza e mira nella frescura Papà e mamma al balcone ridere Lontana una televisione accesa Colpiti si moriva Liberàti s’usciva dalla gabbia di cartone Dolce sera Soffice palla-luna prigioniera
Il compleanno è dietro disegnato oltre è la smorfia clownesca del narrato fluire di pala polittica quotidiana umana come candele prima o poi da spegnere per la festa del morto se la lingua a penzoloni commossa attende la Prima Comunione e la macchia rimane Prove ai sali d’argento e inchiostro bianco su cartone
Je ne veux pas d’autre secours que celui-là: vous parler. – Gide, L’immoraliste. Sorge dal mare nel suo antico dono di marmi a sorreggere la sabbia Onde la scuotono in una quiete bianca che è sale sul sogno di Cleopatra Sali verso il sole sospinto da Dioniso sul monte Cinzio imprendibile come il mio cuore Lontani i mulini di Myconos a inventare il vento che ci toglie gli occhi In questo nulla respiro il tempo schernito dai gabbiani Vorrei parlarti senza parlare come fa il vento da sempre su queste mani Myconos, 22.8.1986 (chiedi un succo d’arancia e ti portano un’aranciata…)
I passi lentamente dalla scala l’odore chiuso della geriatria La stanza silenziosa letti paralleli la flebo in gola il sole fuori ora che non c’è più lotteria «Ti ha scritto la Alda, dice che sta bene…» – e l’infermiera giovane arrossiva cercando la febbre sotto le lenzuola. È qui che adesso vivi se è la vita dopo quel brusco salto forse candeggina e il grido spaventato dei vicini (Avevo cinque anni mi guardavi giocare tra le ombre dei giardini). Ora c’è solo un rantolo di mani e occhi chiusi disperatamente azzurri Restiamo luglio conta i tuoi respiri E più non parli più non chiami La morte morirà ma tu rimani.
a Elisabetta P. Chi è fondamentalmente un maestro prende ogni cosa sul serio soltanto in relazione ai suoi scolari – perfino se stesso. Friedrich Nietzsche Di quale stella è dimmi quel sorriso che ti attraversa sorridendo il viso? Quando dal più profondo sento amore E tu mi chiami ancòra “Professore” Gli occhi belli di pianto mi hai guardato Ed ho tremato Vorrei che fosse vera questa gioia Per ogni volta che la notte se l’ingoia Quando ti vedo timida guardarmi E per difendersi non ci sono armi Se ti avvicini un poco mi assorbe il gioco della tua bocca ciclamino ——— Avremo un bambino? Elisabetta abbraccia le compagne Un cigno viola nel corridoio della scuola Soltanto il tempo di spiegarti —— senza parole le carezze verdi Ti porterei, sole nei prati margherita che li hai spettinati Altéra tra i compagni a Parigi quella sera La luna tra i capelli e una maglia nera Se tuo è quel viso che mi percorre il sonno voglio dormire ancòra fino a mezzogiorno Un giorno ci sarà con te l’amore Lo invidio già nei battiti quel cuore Come mi pensi, se mi pensi, fogliolina? Un gioco? Un principe? Un idiota? Una storiellina? Mi porgi le sopracciglia perché le baci Anche all’aria piaci
La schiena arcuata pace vertebrale dai glutei alle spalle affluenti del mare dorsale mosso dai singulti più non vedo il volto affonda nel cuscino sono lontano vicino e tenera percorre la scialuppa il fianco Sono stanco rido e piango vivo del tuo rapido voltarti in cerca del tuo naso siamese sul mio e tutta si confonde l’azzurra cecità del corpo Sei Brasile, Eurasia pioggia di grande nube monsonica abissale e lieve ragno tenace crudele alla posta in attesa della mosca bianca Mi ascolti il cuore esce dal costato andato anche lui tra i morti a valle del poema da L’INTOCCABILE
Risalgo con le foglie per i rami in testa un cappellaccio sivigliano Del giorno che si scorcia non mi curo amo le geografie della tua mano Esci dinamitarda tenerezza corruccio degli amanti aggrovigliati Scommetto che sei figlia della brezza per questo più ti odio e più mi piaci Oltre le porte strette oltre il mare avvolti da una fresca chiara d’uovo Son nuovo nella chiglia Ulisse vedi Immobile sul letto Eppur mi muovo
Nell’Ade da ieri con trasporto a Rodi Sogno di Nembo Kid mangiato dai ladroni carezze e suoni uniti in un tuo schiaffo Solo e non soltanto uomo d’oggi Saffo dai piedi piccoli di geisha Le luci le nascondo agli occhi le lune me le mangio a morsi principe del cosmo su poltrona senza più velluto in punta al mondo Baciami senza bocca ti udirò senza orecchie senza corpo ferire Guardami dagli occhi con un sorriso azzurro Sono del sogno il sogno la tua clessidra anemica sabbiando da IL BOSCO DI VELATE
Un bien-être si actif qu’il était presque une joie emplissait le marcheur… … Une totale liberté naissait du départ Marguerite Yourcenar, L’Oeuvre au Noir. I Si andava in quattro o cinque in fila indiana l’estate coi ginocchi già sbucciàti La strada a un certo punto a c bifor v a non mi ricordo da che parte andammo II Davanti i temerari dietro gli altri le scarpe da ginnastica le biglie Qualcuno ritornava indietro prima e sui ginocchi già le cicatrici III D’un tratto quel sentiero restringeva fino ad un ponticello malridotto; oltre, frasche più fitte un’ombra un fosso il piede cigolava al primo passo la paura in quel batticuore da non dire da dimenticare sotto la maglietta IV Una palude bianca in una c a l m a senza vento o forse gialla, grigia mutevole a guardarla come il tempo Nessun marziano vi era o mostro o tigre del Bengala né l’uomo nero (viveva in fondo al sottoscala) V Eppure si muoveva come polenta chimica laguna «Non ci andare, che se ci cadi dentro…» pareva di sentirsi richiamare da g i ù nel fondo da una testa bruna VI I giochi più incoscienti a pelo d’acqua qualcuno già ostentava sigarette tra tremolanti denti e latta e muschio e dio e demonio in bilico nel limbo dei litigi VII Hai pianto non so quanto che le lentiggini sembravano più scure della palude stessa della nube Sul capo minacciava un temporale Angera era alle spalle un minareto la valle cieca del segreto principe delle genziane VIII Ne ritornammo forse che il naso s’era fatto freddo alle sei le prime gocce addosso che le sberle comunque le avremmo prese lo stesso Tanto valeva bagnarsi fino al midollo del segreto nelle tasche figurine e una lumaca scura grossa così per far paura alle bambine
Il viso incollato al vetro del treno lui lo tieni negli occhi finché l’inghiotte la calura dei binari a Firenze Santa Maria Novella Ora siedi abbracciandoti i fianchi in un lutto d’arti istantaneo eterno L’umido d’occhi medicato dal kleenex sulle ciglia lunghe quella lacrima bambina già scesa e inafferrata che ancòra non scorre sul velo delle gote sole di taglio sui sandali occhi immensi grigi avidi d’aria Leggi Rilke nel pomeriggio che rimane la mano nervosamente affondata nel sacchetto delle patatine Mangi in fretta ferite Mordicchi sulle dita affusolate pellicine di dolore Mostri i denti bianchi dopo un sorso d’acqua lo sguardo accarezza i fogli annotati in tedesco s’espande s’arresta sospeso nel vuoto L’aria non si muove Domani l’esame – «Chiamerà dopo le nove?» Non sentire la voce Misuro annullata la distanza delle labbra Vorrei baciarti i piedi con moltiplicate bocche esserti seta fresca farfalla sul pube Già Milano Centrale Il corpo stancamente verso l’uscita da dietro rallentando poi più nulla Nel metrò Annie Lennox canta «How many times do I have to try to tell you…» e “Why” è una corolla d’ombra Ma scioperano le api tutto scioglie il vento come d’ali senza volo ignote Solo sapessi il nome morirei peggio questa nuova morte E ancelle nella saliva di ghiaccio devote
La piu grande biblioteca online di poesie in italiano