La biondina è sul balcone, capo chino, ciglia basse, tra le pallide erbe grasse e il geranio vermiglione. L’aria, i muri, il rio deserto nel crepuscolo che muore sono fisi al nuovo fiore che Iassù risplende aperto. Lei però non ne sa nulla: monda attenta il suo giardi ciglia basse e capo chino. (Lei non è che una fanciulla Ora par che all’improvviso l’abbia alcuno nominata. Guarda intorno trasognata, leva al cielo il bianco viso. Gli occhi d’oro van cercande qualche ignota strana cosa nella luce dubitosa del crepuscolo amaranto. Ma nel cielo non c’è nulla; spenti i muri, chiuso il rio nel suo cupo dondolio. (Lei non è che una fanciulla.)
Mondo, mondo d’oro, io sono il tuo piccolo re. Quanto è bello e buono, tutto fu fatto per me. Pur ch’io mova un passo fiorisce ai miei piedi il terren. Prendo in mano un sasso ed ecco, una gemma divien. Mondo, dolce mondo io sono il tuo piccolo re. Giro, giro tondo: tutta la gioia per me. Bimbo, bimbo bello sono il tuo fratello. Fammi entrare un poco nel tuo caro gioco! So la tua magia :è la poesia.
Si cammina sul filo degli anni da esperti funamboli. È un difficile andare ma si va. E intanto il mondo, attorno, muta faccia e colore. Senza posa ogni creata cosa in poco d’ora ci diventa strana. E con le cose ci mutiamo noi, d’oggi in domani. Solo sta fermo nel fondo di noi quel nostro tempo primo, l’infanzia, all’ombra della madre, sotto il crocifisso piccolo di avorio.
Labile autunno: la foglia sospesa al ramo nudo, mortalmente pallida; la nuvola distesa, bianca sopra l’azzurro; i fiori gialli… Appena mosso, il vento è come voce d’acqua che lenta vada alla perduta sua foce. Labile autunno: la foglia è caduta.
Quel pomeriggio dolce si andava lungo il fiume. E ci sorprese a un tratto, dall’altra riva, un vasto coro, un alto rammarichio di tortore selvagge raccolte lì, chissà come, da quando. Il bel fiume era l’Adda errabonda per prati e campi, tra leggiere boschine di pioppi. Sopra era teso un cielo senza nubi, appena nebuloso: il bel cielo di Lombardia, così bello, così in pace.
Di sul muretto bigio, un testo di gerani mi sorride l’invito. Sosto. Oh felicità! Dal cancello m’appare, tra vigne e melograni, il viso allegro e mesto della mia prima età. Orto d’altri, nessuno t’ha posseduto mai come questo passante che, fermo sulla tua soglia, guarda le roselline vibrare sui rosai e il gran cespo di lauri lustrare da ogni foglia. Nessuno ha tanto amato la tua bellezza buona tra il nereggiar del fico e il giallo dei bambù, se non fosse l’uccello che a cantar s’abbandona mentre sui fiori smania il calabrone blu… Guardo e sorrido. E’ l’orto sognato in fanciullezza, nello squallido esilio d’un chiuso terzo piano. Tanta frescura molle, tanta rude dolcezza sveglia il mio cuore antico do poeta-ortolano. Guardo le architetture ricche di pergolati, i fagioli e i piselli in ricci rococò, i pomodori verdi appena un po’ arrossati, la rosa troppo rosa sul petto del bersò, le tenere lattughe presso la concimaia, le salvie inargentate su l’orlo delle aiuole, i cupi rosmarini dentro la turba gaia delle dalie vermiglie ubriache di sole… Come mi ride il cuore! Piccole cose care, da quanto quanto tempo vi avevo entro di me… Ma vedo un ragnatelo luccicare e tremare… E il cuor mi piannge; e sono triste; e non so perché…
Ci fu nel tempo antico un pastorello che aveva dieci pecore e un agnello. Era povero molto, e inverno e state .. andava per montagne e per vallate. Andava solo, senza pur un cane, mangiando qualche frutto e un po’ di pane; andava e andava tutto il dì; la notte, dormiva negli stazzi e per le grotte. Ecco che un giorno, un sabato d’agosto, che s’era soffermato presso un bosco a pascer quelle sue pecore d’oro e l’agnellino bianco come l’uovo, gli arriva a orecchi un suono… un suono strano non sapea se vicino o se lontano. Canto d’uccelli non era, nè fronde mosse dal vento, nè ridere d’onde; . non era il bosco nè il ruscello in piena… Era come una voce di sirena! Ascolta attento e proprio gli sembrava : una donna che a nome lo chiamava; ma lo chiamava così dolcemente come sopra la terra non si sente. Allora dice al suo piccolo armento: Statevi quete, e torno in un momento. Si reca in spalla l’agnellino bianco, e va e cammina, e va verso quel canto. Traversa tutto il bosco, e va e cammina, in fin che arriva ad una porticina. Entra, e si guarda intorno, é fiori e stelle, e perle, a cento, a mlle… Uno splendore! Nel mezzo, una fanciulla occhio di sole tesseva a un suo telaio, che suonava come un organo e il canto accompagnava: Pastorello poveretto lascia il gregge e viene a me.! Sé vorrai restar con meco sarai ricco più d’un re. Il pastore mirava sbigottito quella gran festa, e non movea dito: e la bella, al telaio, sorrideva, e il suo canto soave riprendeva: Pastorello poverino, gemme, perle ed oro fino, se lo vuoi tutto è per te. Ora il pastore stava già per dire: Resto, son tanto stanco di patire; quando sentì sul collo il buon tepore dell’ agnellino e il battito del cuore. Pensò la greggia, le vallate e i monti, l’ombra dei boschi e il chioccolio dei fonti… Si guardò intorno… Nulla più di bello! nulla… oppure, ecco, solo un campanello: un campanello piccolo di rame entro un mucchio di gioie e di collane… Si prese quello, ringraziò la fata e tornò fuori all’ aria profumata… Traversa tutto il bosco, e va e cammina, e finalmente alla sua greggia arriva C’erano tutte… Un breve salutare; e i dodici ripresero ad andare. E innanzi a tutti andava l’agnellino, scotendo al collo il suo campanellino.
I giorni, i mesi, gli anni dove mai sono andati? Questo piccolo vento che trema alla mia porta, uno a uno, in silenzio, se li è portati via. Questo piccolo vento foglia a foglia mi spoglia dell’ultimo mio verde già spento. E così sia.
Un fresco sussurrio d’acque correnti: è il pero che stormisce sul mio capo, tocco appena da un alito di vento. Levo lo sguardo dalla bianca pagina su cui da’ rami piovono fuggevoli occhiatine di sole abbarbaglianti. Intorno a me non è che un dondolio lungo di steli dalla grossa testa e uno svolio di vespe e di mosconi. Null’altro vedo dal mio letto d’erba, se non, in cima al colle. un filaretto d’azzurri ulivi, dentro il cielo candido. Ma sento, sento che un’immensa gioia e un’infinita pace è in ogni cosa, che in ogni fibra e in ogni infinitesimo atomo vivo è penetrata e regna la tua felicità, divina Estate …
E così te ne vai tu pure, estate. Di giorno in giorno più breve è la luce, più basso il cielo. Un’ala lunga di vento si stende liscia su la faccia del mondo. È il vento umido, molle, delle sere precoci. Cosa più resta al vecchio cuore che già si gonfia di pianto? Restano le tristi dolcezze di autunno E la luce dell’ultima sera.
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