Se, alla luce delle cose tu scolori vera, eppure debolmente sottratta alla nostra determinata e giusta distanza, come la luna lasciata accesa tutta la notte tra le foglie, possa tu invisibilmente allietare questa casa; o stella, doppiamente compassionevole, venuta troppo presto per il crepuscolo, troppo tardi per l’alba, possa la tua pallida fiamma dirigere il peggio in noi attraverso il caos con la passione del semplice giorno.
Nominarle soltanto è la prosa Dei diaristi, è rendervi famose Per lettori che come turisti lodano I letti e le spiagge come uguali; Ma le isole possono esistere solo Se lì abbiamo amato. Cerco, Come il clima cerca il suo stile, di scrivere Versi asciutti come sabbia, limpidi come il sole, Freddi come l’onda arricciata, ordinari Come un bicchiere d’acqua isolana; Eppure, come un diarista, assaporo Le loro stanze infestate di sale (Il tuo corpo che agita il mare increspato Di lenzuola sgualcite), i cui specchi smarriscono Le nostre immagini rannicchiate nel sonno, Come parole che l’amore sperava di usare Cancellare con le pagine della risacca. Quindi, come un diarista che scriva nella sabbia, Annoto la pace che hai donato A certe isole, scendendo Scale strette per accendere le lampade Contro i rumori dell’onda notturna, proteggendo Una lanterna incerta con la mano, O soltanto pulendo il pesce per la cena, Cipolle, carangidi, parghi e pane; E su ogni bacio il gusto aspro del mare, E come alla luce della luna eri attenta A studiare più di tutto l’ostinata pazienza Dell’onda benché sembri uno spreco.
Il pugno stretto intorno al mio cuore si allenta un poco, e io respiro ansioso luce; ma già preme di nuovo. Quando mai non ho amato la pena d’amore? Ma questa si è spinta oltre l’amore fino alla mania. Questa ha la fronte stretta del demente, questa si aggrappa alla cornice della non-ragione, prima di sprofondare urlando nell’abisso. Tieni duro allora, cuore. Così almeno vivi.
Le cose che non esplodono: vengon meno, sbiadiscono, come il sole sbiadisce dalla carne, come la schiuma esala nella sabbia, anche il fulmineo lampo dell’amore non ha un epilogo tonante, muore invece con un suono di fiori che sbiadiscono come fa la carne sotto la pietra pomice sudante, tutto concorre a dare questa forma finché restiamo soli col silenzio che circonda la testa di Beethoven.
Vivo sull’acqua, solo. Senza moglie né figli. Ho circumnavigato ogni possibilità per arrivare a questo: una piccola casa su acqua grigia, con le finestre sempre spalancate al mare stantio. Certe cose non le scegliamo noi, ma siamo quello che abbiamo fatto. Soffriamo, gli anni passano, lasciamo tante cose per via, fuorché il bisogno di fardelli. L’amore è una pietra che si è posata sul fondo del mare sotto acqua grigia. Ora, non chiedo nulla alla poesia, se non vero sentire: non pietà, non fama, non sollievo. Tacita sposa, noi possiamo sederci a guardare acqua grigia, e in una vita che trabocca di mediocrità e rifiuti vivere come rocce. Scorderò di sentire, scorderò il mio dono. E’ più grande e duro, questo, di ciò che là passa per vita.
Tempo verrà in cui, con esultanza, saluterai te stesso arrivato alla tua porta, nel tuo proprio specchio, e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro, e dirà: Siedi qui. Mangia. Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io. Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore a se stesso, allo straniero che ti ha amato per tutta la tua vita, che hai ignorato per un altro che ti sa a memoria. Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore, le fotografie, le note disperate, sbuccia via dallo specchio la tua immagine. Siediti. E’ festa: la tua vita è in tavola.
Il pugno stretto intorno al mio cuore si allenta un poco, e io respiro ansioso luce; ma già preme di nuovo. Quando mai non ho amato la pena d’amore? Ma questa si è spinta
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