Ora tu passi lontano,lungo le croci del labirinto, lungo le notti piovose che io m’accendo nel buio delle pupille, tu,senza più fanciulla che disperda le voci… Strade che l’innocenza vuole ignorare e brucia di offrire,chiusa e nuda senza palpebre o labbra! Poiché dove tu passi è Samarcanda, e sciolgono i silenzi tappeti di respiri, consumano i grani dell’ansiae attento:fra pietra e pietra corre un filo di sangue, là dove giunge il tuo piede.
Amore, oggi il tuo nome al mio labbro è sfuggito come al piede l’ultimo gradino… ora è sparsa l’acqua della vita e tutta la lunga scala è da ricominciare. T’ho barattato, amore, con parole. Buio miele che odori dentro diafani vasi sotto mille e seicento anni di lava – ti riconoscerò dall’immortale silenzio.
Devota come un ramo curvato da molte nevi allegra come falò per colline d’oblio, su acutissime lamine in bianca maglia di ortiche, ti insegnerò, mia anima, questo passo d’addio…
La neve era sospesa tra la notte e le strade come il destino tra la mano e il fiore. In un suono soave di campane diletto sei venuto… Come una verga è fiorita la vecchiezza di queste scale. O tenera tempesta notturna, volto umano! (Ora tutta la vita è nel mio sguardo, stella su te, sul mondo che il tuo passo richiude).
Moriremo lontani. Sarà molto se poserò la guancia nel tuo palmo a Capodanno; se nel mio la traccia contemplerai di un’altra migrazione. Dell’anima ben poco sappiamo. Berrà forse dai bacini delle concave notti senza passi, poserà sotto aeree piantagioni germinate dai sassi… O signore e fratello! ma di noi sopra una sola teca di cristallo popoli studiosi scriveranno forse, tra mille inverni: «nessun vincolo univa questi morti nella necropoli deserta».
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