Clemente di Leo
Mi sono ritrovato
con un nome
tra pietre;
e senza risposte
mi consumo con loro.
La situazione di bordo è rischiosa.
La bussola segnala tutti i punti,nessuno.
Oggi approdo.
Il mio occhio ha la suggestione dei mari.
Si meravigliano che mi dico principe
sedendo in una poltrona non mia.
E’ il prezzo che valuto la terra.
Trovo scritto nel mio libro maestro:
“ho pronta una sputata per tutti.
Ognuno mi saluta sorridendo”
Sono un ragazzo e diecimila folletti.
Mi si rimprovera la pazienza del vetraio.
Mi escono bottiglie quando voglio damigiane.
Al timone ho messo un pagliaccio di fiori.
Il mare, il mare sotto, galoppa.
Per me la vita è una scorpacciata di pesche.
Per i più la vita è coltivazione.
Notte abbracciami
tagliami la testa.
Ci ho un putrido elefante
un carro di burattini
che sbandierano l’annuncio
“parlare al vento è da stupidi”
Avvolgimi serena
nel tuo lenzuolo.
Benchè sappia il sistema
come è fatta la struttura
ti prego di bluffarmi.
Voglio sbattere la faccia
nell’acqua dei pantani,
avvoltolarmi per terra
come un asino aggredito
dalle vespe, e ridere.
Questa cretina di luna
si fa bella nei miei occhi;
non si vergogna di esistere
perchè è senza cervello.
Poesia, ti ho in mano come una mela marcia
ma se ti lancio, brilli come una cometa.
Averti addosso è come una lunga puzza
ma se ti dico “Su, entriamo anche
tu ti fai una grande signora
ed io un cavallo odoroso.
Suggestione del presentatore!
Noi in una sala pulita
non abbiamo niente da fare.
Sole, palla di zucchero
no si muove una foglia.
Cantano due tre cicale
e le api, indugiano a staccarsi
baciucchiano e ribaciucchiano i fiori.
Sono felice anche i miei calzoni
imbrattati di verde.
Io dormo e mi chiamo Nessuno.
Sul tuo grugno, mio porco
s’infrange la lontananza delle stelle
l’infinità della linea retta.
Seduto nella mangiatoia
soffice d’erba medica
ti metto i piedi dondolanti sul dorso
godendomi la canzone
che tu soffi nel truogolo.
Succhia e canta!
Io intanto allungo il braccio
rubo le mele dalla tazza dei conigli
me le mangio e ti butto i torsi.
Caro, è una felicità essere animali così
senza il chiodo dei colori nella testa
senza la porta della tour Eiffel
che sprofonda davanti un vuoto
di notte e di astri.
E ho ricominciato questo discorso da ergastolani.
Porco, tu mangi, io mangio e parlo.
Non sono genuino come te
mi fece una pasta gommosa avida di attacchi
e qui c’è poco da attaccare
se non i venti
le cattedrali rosso-oro delle nuvole.
Insomma un decifit di malformazione
una bolla di sapone scordata nella carne
caro mio maiale, ci separa.
Ti dico viviamo.
Non abbiamo nulla da perdere
tutto è perduto in partenza
I manichini di gesso
hanno di cuori scala reale:
ci restano quattro mani di glicini
da consumare sul tavolo bianco.
Venga avanti chi si dice poeta.
Qui lo voglio vedere
sui colli o sull’asfalto
nella sua maniera di fare e di dire.
Inganna la qualità della carta
e della china, l’impostazione tipografica.
Mi sarei impiccato da un pezzo
se la parola non mi scoppiasse
quando sto camminando, nella gola
Come un cane che vale
al guinzaglio di un padrone idiota
sono la vittima di un governo fantoccio.
Nessun ha speso un bicchiere d’acqua
una lira per la mia causa;
con le vincite a STOP
mi comprai un dizionario di nascosto.
È magnifico essere poeta.
Hai in gola un vaso di marmellata
e nelle viscere un velo di seta
che preso anche da un aquila o da un missile
e tirato per sempre negli spazi
non si arrende mai, della sua infinitezza anzi
può avvolgere tutto l’universo.
Dai pori del tuo corpo
senti crescere gelsomini
e il loro delizioso profumo
stura il muco delle tue narici.
Stai come un dio su un fiume solenne
che ti trasporta e lava
il giallo schifoso delle tue orecchie.