Sei la vita e la morte. Sei venuta di marzo sulla terra nuda ? il tuo brivido dura. Sangue di primavera ? anemone o nube ? il tuo passo leggero ha violato la terra. Ricomincia il dolore. Il tuo passo leggero ha riaperto il dolore. Era fredda la terra sotto povero cielo, era immobile e chiusa in un torpido sogno, come chi piú non soffre. Anche il gelo era dolce dentro il cuore profondo. Tra la vita e la morte la speranza taceva. Ora ha una voce e un sangue ogni cosa che vive. Ora la terra e il cielo sono un brivido forte, la speranza li torce, li sconvolge il mattino, li sommerge il tuo passo, il tuo fiato d’aurora. Sangue di primavera, tutta la terra trema di un antico tremore. Hai riaperto il dolore. Sei la vita e la morte. Sopra la terra nuda sei passata leggera come rondine o nube, il torrente del cuore si è ridestato e irrompe e si specchia nel cielo e rispecchia le cose ? e le cose, nel cielo e nel cuore soffrono e si contorcono nell’attesa di te. È il mattino, è l’aurora, sangue di primavera, tu hai violato la terra. La speranza si torce, e ti attende ti chiama. Sei la vita e la morte. Il tuo passo è leggero.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera, insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo. I tuoi occhi saranno una vana parola, un grido taciuto, un silenzio. Cosí li vedi ogni mattina quando su te sola ti pieghi nello specchio. O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla. Per tutti la morte ha uno sguardo. Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. Sarà come smettere un vizio, come vedere nello specchio riemergere un viso morto, come ascoltare un labbro chiuso. Scenderemo nel gorgo muti.
Tu non sai le colline dove si è sparso il sangue. Tutti quanti fuggimmo tutti quanti gettammo l’arma e il nome. Una donna ci guardava fuggire. Uno solo di noi si fermò a pugno chiuso, vide il cielo vuoto, chinò il capo e morì sotto il muro, tacendo. Ora è un cencio di sangue il suo nome. Una donna ci aspetta alle colline.
Anche la notte ti somiglia, la notte remota che piange muta, dentro il cuore profondo, e le stelle passano stanche. Una guancia tocca una guancia; è un brivido freddo, qualcuno si dibatte e t’implora, solo, sperduto in te, nella tua febbre. La notte soffre e anela l’alba, povero cuore che sussulti. O viso chiuso, buia angoscia, febbre che rattristi le stelle, c’è chi come te attende l’alba scrutando il tuo viso in silenzio. Sei distesa sotto la notte come un chiuso orizzonte morto. Povero cuore che sussulti, un giorno lontano eri l’alba.
Ancora cadrà la pioggia sui tuoi dolci selciati, una pioggia leggera come un alito o un passo. Ancora la brezza e l’alba fioriranno leggere come sotto il tuo passo, quando tu rientrerai. Tra fiori e davanzali i gatti lo sapranno. Ci saranno altri giorni, ci saranno altre voci. Sorriderai da sola. I gatti lo sapranno. Udrai parole antiche, parole stanche e vane come i costumi smessi delle feste di ieri. Farai gesti anche tu. Risponderai parole; viso di primavera, farai gesti anche tu. I gatti lo sapranno, viso di primavera; e la pioggia leggera, l’alba color giacinto, che dilaniano il cuore di chi più non ti spera, sono il triste sorriso che sorridi da sola. Ci saranno altri giorni, altre voci e risvegli. Soffieremo nell’alba, viso di primavera.
Terra rossa terra nera, tu vieni dal mare, dal verde riarso, dove sono parole antiche e fatica sanguigna e gerani tra i sassi, non sai quanto porti di mare parole e fatica, tu ricca come un ricordo, come la brulla campagna, tu dura e dolcissima parola, antica per sangue raccolto negli occhi; giovane, come un frutto che è ricordo e stagione, il tuo fiato riposa sotto il cielo d’agosto, le olive del tuo sguardo addolciscono il mare, e tu vivi rivivi senza stupire, certa come la terra, buia come la terra, frantoio di stagioni e di sogni che alla luna si scopre antichissimo, come le mani di tua madre, la conca del braciere.
Fantasia della donna che balla, e del vecchio che è suo padre e una volta l’aveva nel sangue e l’ha fatta una notte, godendo in un letto, bel nudo. Lei s’affretta per giungere in tempo a svestirsi, e ci sono altri vecchi che attendono. Tutti le divorano, quando lei salta a ballare, la forza delle gambe con gli occhi, ma i vecchi ci tremano. Quasi nuda è la giovane. E i giovani guardano con sorrisi, e qualcuno vorrebbe esser nudo. Sembran tutti suo padre i vecchiotti entusiasti e son tutti, malfermi, un avanzo di corpo che ha goduto altri corpi. Anche i giovani un giorno saran padri, e la donna è per tutti una sola. È accaduto in silenzio. Una gioia profonda prende il buio davanti alla giovane viva. Tutti i corpi non sono che un corpo, uno solo che si muove inchiodando gli sguardi di tutti. Questo sangue, che scorre le membra diritte della giovane, è il sangue che gela nei vecchi; e suo padre che fuma in silenzio, a scaldarsi, lui non salta, ma ha fatto la figlia che balla. C’è un sentore e uno scatto nel corpo di lei che è lo stesso nel vecchio, e nei vecchi. In silenzio fuma il padre e l’attende che ritorni, vestita. Tutti attendono, giovani e vecchi, e la fissano; e ciascuno, bevendo da solo, ripenserà a lei.
Sarà un cielo chiaro. S’apriranno le strade sul colle di pini e di pietra. Il tumulto delle strade non muterà quell’aria ferma. I fiori spruzzati di colori alle fontane occhieggeranno come donne divertite. Le scale le terrazze le rondini canteranno nel sole. S’aprirà quella strada, le pietre canteranno, il cuore batterà sussultando come l’acqua nelle fontane ? sarà questa la voce che salirà le tue scale. Le finestre sapranno l’odore della pietra e dell’aria mattutina. S’aprirà una porta. Il tumulto delle strade sarà il tumulto del cuore nella luce smarrita. Sarai tu ? ferma e chiara.
Tutti i gran manifesti attaccati sui muri, che presentano sopra uno sfondo di fabbrícbe l’operaio robusto che si erge nel cielo, vanno in pezzi, nel sole e nell’acqua. Masino bestemmia a veder la sua faccia piú fiera, sui muri delle vie, e doverle girare cercando lavoro. Uno si alza al mattino e si ferma a guardare i giornali nelle edicole vive di facce di donna a colori. fa confronti con quelle che passano e perde il suo tempo, ché ogni donna ha le occhiaie píú stracche. Compaiono a un tratto coi cartelli dei cinematografi addosso alla testa e con passi sostanti, i vecchiotti vestiti di rosso e Masino, fissando le facce deformi e i colori, si tocca le guance e le sente più vuote. Ogni volta che mangia, Masino ritorna a girare, perché è segno che ha già lavorato. Traversa le vie e non guarda piú in faccia nessuno. La sera, ritorna e si stende un momento nei prati con quella ragazza. Quando è solo, gli piace restare nei prati tra le case isolate e i rumori sommessi e talvolta fa un sonno. Le donne non mancano, come quando era ancora meccanico: adesso è Masino a cercarne una sola e volerla fedele. Una volta – da quando va in giro – ha atterrato un rivale e i colleghi, che li hanno trovati in un fosso, ban dovuto bendargli una mano. Anche quelli non fanno più nulla e tre o quattro, affamati, han formato una banda di clarino e chitarre – volevano averci Masino che cantasse – e girare le vie a raccogliere i soldi. Lui Masino ha risposto che canta per niente ogni volta che ha voglia, ma andare a svegliare le serve per le strade, è un lavoro da napoli. I giorni che mangia, porta ancora con sé pochi amici a metà la collina: là si chiudono in qualche osteria e ne cantano un pezzo loro soli, da uomini. Andavano un tempo anche in barca, ma dal fiume si vede la fabbrica, e fa brutto sangue. Dopo un giorno a strisciare le suole davanti agli affissi, alla sera Masino finisce al cinema dove ha già lavorato, una volta. Fa bene quel buio alla vista spossata dai troppi lampioni. Tener dietro alla storia non è una fatica: vi si vede una bella ragazza e talvolta c’è uomini che si picchiano secco. Vi sono paesi che varrebbe la pena di viverci, al posto degli stupidi attori. Masino contempla, su un paese di nude colline, di prati e di fabbriche, la sua testa ingrandita in primissimi piani. Quelli almeno non dànno la rabbia che dànno i cartelli colorati, sugli angoli, e i musi di donna dipinti.
La collina è notturna, nel cielo chiaro. Vi s’inquadra il tuo capo, che muove appena e accompagna quel cielo. Sei come una nube intravista fra i rami. Ti ride negli occhi la stranezza di un cielo che non è il tuo. La collina di terra e di foglie chiude con la massa nera il tuo vivo guardare, la tua bocca ha la piega di un dolce incavo tra le coste lontane. Sembri giocare alla grande collina e al chiarore del cielo: per piacermi ripeti lo sfondo antico e lo rendi più puro. Ma vivi altrove. Il tuo tenero sangue si è fatto altrove. Le parole che dici non hanno riscontro con la scabra tristezza di questo cielo. Tu non sei che una nube dolcissima, bianca impigliata una notte fra i rami antichi.
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