Cecília Meireles
I remi battono le acque:
devono ferire per andare.
Le acque vanno acconsentendo,
questo è il destino del mare.
I remi battono le acque:
devono ferire per andare.
Le acque vanno acconsentendo,
questo è il destino del mare.
Oggi, che io sia questa o quella,
poco m’importa.
Voglio solo apparire bella,
poiché, sarà quel che sarà, sono morta.Già fui bionda, già fui bruna,
già fui Margherita e Beatrice.
Già fui Maria e Maddalena.
Solo non potrei essere come volevo.Che male fa questo colore finto
dei miei capelli, e del mio viso,
se tutto è tinta: il mondo, la vita,
la gioia, il dolore?Di fuori sarò come vuole
la moda, che mi sta annientando.
Che se ne vadano pelle e viso sciupato
al nulla, non m’importa quando.Ma chi vide, così decadenti
occhi, braccia e i sogni suoi,
e morì per i suoi peccati,
parlerà con Dio.Parlerà, coperta di luci,
dall’alto della pettinatura alla rubra caviglia.
Perché alcuni spirano sulle croci,
altri, cercandosi nello specchio.
E più facile appoggiare l’orecchio alle nuvole
e udire passare le stelle
che attaccarlo alla terra e raggiungere il rumore dei tuoi passi.
Ed è più facile, anche, affacciare lo sguardo sull’oceano
e assistere, là sul fondo, alla nascita muta delle forme,
che desiderare che tu appaia, creando con il tuo semplice gesto
il segno di una eterna speranza.
Non mi interessano più le stelle, né le forme del mare,
né tu.
Ho srotolato dall’interno del tempo la mia canzone:
non ho invidia delle cicale: anch’io morirò per il cantare.
Io non avevo il volto di oggi,
così calmo, così triste, così magro,
né questi occhi così vuoti,
né il labbro amaro.
Io non avevo queste deboli mani,
così ferme e fredde e morte:
io non avevo questo cuore
che neppure dà segno di sé.
Io non mi sono accorta di questo mutamento,
così semplice, sicuro, facile:
– in quale specchio è andato perso
il mio volto?
Per pensare a te tutte le ore fuggono:
il tempo umano spira in lacrima e cecità.
Tutto è spiagge dove il mare affoga l’amore.
Voglio l’insonnia, la vigilia, una chiaroveggenza
di questo istante che abito – ah, mio dominio triste!,
isola dove io stessa non so fare nulla per me.
Vedo il fiore, vedo nell’aria il messaggio delle nuvole
– e nella mia memoria sei immortalità –
vedo le date, ascolto il mio stesso cuore.
E dopo il silenzio. E i tuoi occhi aperti
nei miei chiusi. E questa assenza sulla mia bocca:
poiché so bene che parlare è uguale a morire.
Dalla vita alla Vita, fughe sospese.
Sul gradino dell’inverno a turno,
si sederono gli amanti.
Stai crescendo tra le loro spalle
denso bosco di impossibili,
con molti rami scuri.
Un denso bosco di spine
stai crescendo tra le loro labbra
Pallide parole secche,
foglie di addii,
ombra di confusa angustia
nella curva giovane della bocca,
nel dolce luogo dei baci.
Così persi, così soli
per intimi sentieri!
Innanzi a loro, le statue,
eternamente avviluppate,
gloriosamente nude,
profondamente soavi,
con luminosità di primavera
nell’eterea aspetto marmoreo…
(Festivi corpi di pietra!)
Noi amanti umani,
il corpo è lento e pesante,
lunga rete su cui scorrere le lacrime
nelle vaste sabbie dell’anima.
Ho fasi, come la luna
fasi per stare nascosta,
fasi per scendere in strada…
Perdizione della mia vita!
Perdizione della vita mia!
Ho fasi per essere tua,
e altre per stare da sola.
Fasi che vanno e vengono,
nel calendario segreto
che un astrologo arbitrario
ha inventato per me.
E svolge la malinconia
il suo interminabile fuso!
Non mi trovo con nessuno
(ho fasi come la luna…)
Se un giorno qualcuno può essere mio
non è il mio giorno di essere sua…
E, quando arriva quel giorno,
un altro è sparito…
Piovono due piogge
d’acqua e di gelsomini
per questi giardini
di fiori e di nuvole.
Esalano due profumi
Per questi giardini:
di terra e di gelsomini,
di fiori e piogge.
E i gelsomini sono piogge
e le piogge, gelsomini,
per questi giardini
di profumo e nuvole.
Cadde tanta acqua,
si rannuvolò l’orizzonte,
si rannuvolò la foresta,
si rannuvolò la valle.
E le piante si mossero blu
nell’onda che si avvolgeva.
Tutto si trasformò in cristallo fosco:
le jaqueiras stanche di frutti,
le palme dai ventagli aperti,
e gli alberi di mango con le loro fronde
di arrotondate nuvole nere sovrapposte.
L’arcobaleno guizzò come un serpente variopinto
in questa piscina di disegni delicati.
Non cercare là.
Ciò che è, sei tu.
Sta in te.
In tutto.
La goccia è stata nella nuvola.
Nella linfa.
Nel sangue.
Nella terra.
E nel fiume che si è aperto nel mare.
E nel mare che si è coagulato in mondo.
Tu hai avuto un destino così.
Fatti a immagine del mare.
Datti alla sete delle spiagge.
Datti alla bocca azzurra del cielo.
Ma fuggi di nuovo a terra.
Ma non toccare le stelle.
Torna di nuovo a te.
Riprenditi.