Per ogni volta che un uomo strappa con forza da indosso i tessuti di un sogno, per ogni silenzio ancora nascosto in un pensiero di voci e odori, per tutte le pure del buio, per quella pelle che non si lava mai, nemmeno sotto la pioggia della stagione di una donna, per disegni che non raccontano, per le minacce fatte con una carezza, per occhi che non giocano più, per segreti che trattengono anche le nuvole, per la diffidenza che non si cancella, per un corpo che trattiene l’infamia della violenza. Per tutto questo, e per le notti che disegnano notti anche nella luce del giorno io non perdono chi ha strappato di una bambina il sogno.
Ora la collina non è più in fiamme, il fiume si adagia sui sassi e il canneto copre il passare dei giorni. Ora è tempo d ripulire le pietre, di sentire il profumo delle zolle e di conservare i segreti della terra. Radici lontane riaffiorano con la forza dei ricordi. La stessa forza del filo d’erba. La stessa forza del perdente che non teme la sconfitta. Il bisogno ritarda solo la pioggia. Lo senti urlare in silenzio? I nostri passi non sono passi. Sono quello che siamo. Vento sul canneto e terra su terra. Niente di più vero che del semplice esistere.
C’è un incatesimo per ogni disgrazia che nasce senza permesso nella solitudine.
Se tu m’avessi chiesto cosa avrei voluto dalla vita, t’avrei detto che avrei voluto il rumore dell’acqua che accarezza inquietudini e rimuove certezze, che inonda e cancella rughe di tempo in cui ha la sua eternità l’anima.
Se tu m’avessi chiesto un sogno, t’avrei detto quanto sarebbe stato bello ascoltare con te accanto il rumore dell’acqua, nell’inquietudine di una vita che passa.
Di tutto quel che è stato rimane soltanto il rumore di un fiume che scorre.
Da qui a sera avrò tempo per dimenticarti, o tutto il tempo per uccidermi in un ricordo. Da qui a sera, saranno ore di primavera, di solitudini composte come fosse vero che eri e sei il tempo che non torna. Un pensiero a forma di te muove, come fosse vento, i rami e le foglie. Starti dentro in eterna distanza, osservarti andare mentre io, solo per sopravviverti, a me, solo a me, nel silenzio della pietra e nel dove dell’acqua ritorno.
Tutto è e tutto passa. Ed ho così dovuto rinunciare per educarmi all’autoconsolazione o scivolare sulla mia schiena per imparare i segreti del dolore. Potessi portarmi fuori di me, andrei sulla luna di sera per osservarmi rientrare in casa. Mi farei veliero per ogni sogno di mare, o rapace solo per sfiorare un sole ormeggiato fra le nuvole. I merli quando non cantano canzoni d’Amore è solo perché seguono le traiettorie della fame.
Carezze di terra e tu qui con me a organizzare, d’amore, una rivolta. Quando anche gli alberi pensarono ch’era cosa buona e giusta, spostarono i rami e liberarono le foglie perché la vita ci conducesse all’incontro. C’è qualcosa di sacro mentre t’osservo. T’osservo, mi basta saperti accanto. E anche questa cosa è buona e giusta.
Giorno dopo giorno, un tempo sempre fertile di donna. Il sangue mi è testimone. Ed ho passato lunghe notti in corsia a farmi tamponare il cuore. Fuori la vita correva fra la strada e i marciapiedi, fuori ha nevicato silenzio ed hanno ombreggiato gli alberi, il sole. Sono anni che piove sempre dalla solita grondaia, lontano dai limoni, lontano dagli odori del mare. Sono anni che condanno l’Amore per non avere colpa se non quella di Amare, il barcollare senza meta della tua ombra.
Le nostre donne siamo noi e tutto quello che ci contiene ha odore di biancheria lavata a mano nello scrittoio dei segreti. Le nostre donne sono girasoli in fiore nella battaglia dei giorni e odore di bucato fresco pulito sempre steso fuori, dopo il calar del sole. Le nostre donne siamo sodalizio taciuto sottoscritto con la vita la tenacia, la dolcezza, gli errori. Delle nostre donne, io sono l’errante. Le nostre donne parliamo lingue diverse alla stessa tavola ma nell’inguine mai interrotto di Dio lavate dalle stesse acque del Giordano-dentro bagnate ognuna d’un colore diverso, insieme, le nostre donne formiamo una bandiera.
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