Dal suo fodero sciolto, il bocciolo, tulipano rosato, raccolto turbante, il sangue mi ha infiammato con brusca primavera. Inoculato il sensuale delirio, con saliva lubrifico il peduncolo; il tersissimo stelo che la mia mano incorona. Alto fiore tuo eretto nei parchi oscuri, oh, lacerami tu, abbattimi ferita, con la bocca riempita dell’umida tua seta. Come anello si chiudono attorno a te i miei seni, li unisco, ti incastono, le mie labbra si schiudono e una goccia appare sulla tua cuspide malva.
È così bello lasciare che entri nel mio letto e che la mano viaggiatrice riposi tra le sue cosce, negligente, e sguainatagli la tersa colonna – la sua cima incarnata e succosa avrà il sapore delle fragole, aspro – assistere all’espressione inesperta della sua anatomia, che non sa usare ancora, mostrare il rosato castone al suo dito indeciso, mentre in dosi perfide e precise gli si somministra l’audacia. È così bello pervertire un ragazzo, distillargli dal ventre verginale quella ruggente tenerezza tanto simile all’ultimo rantolo di un agonizzante, che è impossibile non ucciderlo pian piano mentre eiacula.
Questo è l’enigma, l’ansia travolgente di conoscere, il desiderio irresistibile di gettare l’ancora in te, di possederti. Come sarebbe la perplessità di essere te, il mistero, la malattia di essere te e sapere Come sarebbe lo stupore di essere te, davvero te e con i tuoi occhi vedermi. Come sarebbe percepire che ti amo Come sarebbe, essendo te, sentirmelo dire E come sarebbe, allora, sentire quello che senti tu
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