La sua assenza, il suo mancare, non imprimere il gesto nell’aria, la voce nel silenzio; la traccia delle scarpe sulla neve in giardino, il calco della mano sul cuscino del divano. E’ tutto cancellato, divorato dal niente. Così resto a pensare, cerco di ricordare: com’era veramente la sua faccia se mi guardava e tratteneva il fiato.
Il silenzio cade, e qualcuno non verrà mai più. Mai più per sempre. Per sempre zitta la sua voce, ogni parola. Riguardiamo le foto, sistemiamo i biglietti d’auguri, i filmini superotto, le cassette registrate. Poi torna il silenzio, da solo: aspettando oltre i muri un’assenza.
Io, in attesa e ferma, come una cosa qualunque, trascurata, inessenziale (non mi avesse vista, un mattino; oppure subito – così! – cancellata). Ad aspettare un nuovo sguardo, nuovo davvero, non educato; o la mano che osa alzarsi sulla mia. Poi resta sospesa, senza appoggiarsi, turbata
Fargli dire parole che non ha detto. Suggerirgli mentalmente un gesto mai fatto. Stampargli sulle labbra un sorriso innamorato. Mettergli in mano un dono inaspettato. Che indossi un bel maglione color sabbia. Porti scarpe di cuoio pesante con cui muovere passi sicuri. Sia spettinato come dopo una corsa. Abbia una voce roca e intenerita. Possa guardarmi quasi fossi una sorpresa. E gli occhi (oh, gli occhi!) quelli dovrebbero essere incantati. E ironici, e puri. Presto, mio cavaliere e romeo, presto, mio trobador fiammeggiante! Da tutta la vita son qui, in attesa.
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