isolato da tutti oggi salvo da un’esplosione al tritolo ho dentro schegge nella carne della spalla braccio sinistro immobile una mi buca il taccuino che porto davanti al cuore si blocca senti senti in un foglio da 10 esistono gli dei? una carezza sul petto con ghiaia fra i denti miei
voleva dirti addio per questo anno o meglio mettiti in vestaglia riconoscimi diversa al tocco della filigrana si è versata tutto è veglia dietro la grata è casta così solo così dove tiene il cielo orientato pare una donna di dio nella febbre del dio
carburante annacquato poche gallette tra le dune trincee sdraiati respirando roselline del primo marzo bare di sabbia circondati dal nemico domani andremo all’arma bianca speranze zero siamo allo stremo che io non venga catturato! Ti prego prigioniero no! semmai sbranato forse saranno questi due lucertoloni sciocchi che ci dormono accanto come mostri d’amianto a mangiarmi subito coglioni e occhi da FIGLIO DEL PADRE
L’Onda Come scorrea la calda sabbia lieve Per entro il cavo della mano in ozio Il cor sentì che il giorno era più breve E un’anzia repentina il cor massalse 5 Per l’apprezzar dell’umido equinozio 10 Che offusca l’oro delle spiagge salse Alla sabbia del tempo urna la mano Era clessidra il cor mio palpitante l’ombra crescente dogni stelo vano Quasi ombra d’ago in tacito quadrante.
nel tumulto del cespuglio c’è la smorfia di una rosa sulle ultime foglie gennaie che l’olmo campestre staccò dalla capanna illuminata esce un’orma di farina mentre un cane azzurro canta alla luna del Po
Soffermati sull’arida sponda vòlti i guardi al varcato Ticino, tutti assorti nel novo destino, certi in cor dell’antica virtù, han giurato: non fia che quest’onda scorra più tra due rive straniere; non fia loco ove sorgan barriere tra l’Italia e l’Italia, mai più! L’han giurato: altri forti a quel giuro rispondean da fraterne contrade, affilando nell’ombra le spade che or levate scintillano al sol. Già le destre hanno strette le destre; già le sacre parole son porte; o compagni sul letto di morte, o fratelli su libero suol. Chi potrà della gemina Dora, della Bormida al Tanaro sposa, del Ticino e dell’Orba selvosa scerner l’onde confuse nel Po; chi stornargli del rapido Mella e dell’Oglio le miste correnti, chi ritorgliergli i mille torrenti che la foce dell’Adda versò, quello ancora una gente risorta potrà scindere in volghi spregiati, e a ritroso degli anni e dei fati, risospingerla ai prischi dolor; una gente che libera tutta o fia serva tra l’Alpe ed il mare; una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue e di cor. Con quel volto sfidato e dimesso, con quel guardo atterrato ed incerto con che stassi un mendico sofferto per mercede nel suolo stranier, star doveva in sua terra il Lombardo: l’altrui voglia era legge per lui; il suo fato un segreto d’altrui; la sua parte servire e tacer. O stranieri, nel proprio retaggio torna Italia e il suo suolo riprende; o stranieri, strappate le tende da una terra che madre non v’è. Non vedete che tutta si scote, dal Cenisio alla balza di Scilla? non sentite che infida vacilla sotto il peso dè barbari piè? O stranieri! sui vostri stendardi sta l’obbrobrio d’un giuro tradito; un giudizio da voi proferito v’accompagna a l’iniqua tenzon; voi che a stormo gridaste in quei giorni: Dio rigetta la forza straniera; ogni gente sia libera e pèra della spada l’iniqua ragion. Se la terra ove oppressi gemeste preme i corpi dè vostri oppressori, se la faccia d’estranei signori tanto amata vi parve in quei dì; chi v’ha detto che sterile, eterno saria il lutto dell’itale genti? chi v’ha detto che ai nostri lamenti saria sordo quel Dio che v’udì? Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia chiuse il rio che inseguiva Israele, quel che in pugno alla maschia Giaele pose il maglio ed il colpo guidò; quel che è Padre di tutte le genti, che non disse al Germano giammai: Và, raccogli ove arato non hai; spiega l’ugne; l’Italia ti do. Cara Italia! dovunque il dolente grido uscì del tuo lungo servaggio; dove ancor dell’umano lignaggio ogni speme deserta non è: dove già libertade è fiorita. Dove ancor nel segreto matura, dove ha lacrime un’alta sventura, non c’è cor chenon batta per te. Quante volte sull’alpe spïasti l’apparir d’un amico stendardo! quante intendesti lo sguardo nè deserti del duplice mar! ecco alfin dal tuo seno sboccati, stretti intorno ai tuoi santi colori, forti, armati dei propri dolori, i tuoi figli son sorti a pugnar. Oggi, o forti, sui volti baleni il furor delle menti segrete: per l’Italia si pugna, vincete! il suo fato sui brandi vi sta. O risorta per voi la vedremo al convito dei popoli assisa, o più serva, più vil, più derisa sotto l’orrida verga starà. Oh giornate del nostro riscatto! Oh dolente per sempre colui che da lunge, dal labbro d’altrui, come un uomo straniero, le udrà! che à suoi figli narrandole un giorno, dovrà dir sospirando: “io non c’era”; che la santa vittrice bandiera salutata quel dì non avrà.
asciugami la voglia la frangia il punto oscuro della noia senti sabato scoppia mistericamente fiorirà un nome la canzone l’immagine tua dalla ferita ferita sta mutando il giorno gelsomino in festa al fine in festa da TOTÒ
nel fango biancheggiano l’urlo delle rane e il dolore marmoreo dei cipressi per un sentiero a siepi conventuali e piano va verso colline tacito e turchino l’uomo del campo con la sua ombra bara
in ‘sta nazion de cojon volen stronz istess che pivion ‘na marmellada moltiplicada la manden giò fina a ingolfass de melgasc a ingossass de spegasc sentissela corr giò per i spall la spuzza de brugna spuasc de rogna de quaj slandronna bordell ——- = rovina pivion ——– = piccioni melgasc —— = chicchi di granoturco spegasc —— = aborti o scarabocchi brugna ——- = cimitero spuasc ——– = sputacchio slandronna — = bagasciona
come è tenerti così sillaba fra i denti serva di dio nei seni della notte intiera credimi solo gemi per sempre veloce pagina indica il passaggio avvicinati goccia da PADANIA
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