O amore, amore, amor!… Tutto ti sento Divinamente palpitar nel sole, Nei soffii larghi e liberi del vento, Nel mite olezzo trepidante e puro De le prime vïole! Come linfa vital, caldo e ferace Vivi e trascorri nei nascenti steli; Con le allodole canti; angelo audace Fra mille atomi d’ôr voli, e cospargi Di luce i mondi e i cieli. O amore, amore, amor!… Tutto ti sento Nell’esultanza de l’april risorto; Dai profumi a le rose ed ali al vento, Copri la terra di raggi e di baci… Ma nel mio cor sei morto.
Io mirai l’onda che rompeasi al lido; E di veder mi parve Rasentar leggermente il flutto infido Una schiera di larve. * Eran vestite d’alighe spioventi: Avean sciolti i capelli, Disfatti i volti, occhi stravolti o spenti. Sotto ai lor piè l’acqua turbata avea Balenii di coltelli. Da quelle labbra scolorate uscìa Bava e un gemito rôco. Misto al rombo del mare esso venìa A parlarmi nel core.—Sui ginocchi Io caddi a poco a poco. Eran fracidi corpi d’annegati; Suicidi gettati Da volontà demente ai flutti e ai fati; Vittime con un ferro in mezzo al petto, Naufraghi scarmigliati. Mi disser: «Che si fa sopra la terra?» Io risposi: «Si piange. Ipocrisia trionfa, odio si sferra. Oh, più felici voi su gl’irti scogli Ove l’acqua si frange!…» Mi disser: «Scendi ai placidi riposi Fra l’alghe serpentine. Nascondigli d’amor sono i marosi Inesplorati, e sol nel nulla è pace. Scendi;—qui v’è la fine.» * …. Ed io mirai su le verdastre larve Il tramonto morire: Ne la penombra il queto mar mi parve Un letto per dormire.
Il sole sta. Sta l’aura D’atomi d’ôr cosparsa. L’erma pianura immobile, Tutta di foco e polve, Nella luce si avvolve Arsa. L’afa morta, implacabile, Pesantemente piomba. Ne la tristezza fiammea Posa la terra stanca, Come un’immane e bianca Tomba. …. Pace—Sognante vergine Assetata d’amore, Chino il riarso calice Sotto la vampa afosa, Un’appassita rosa Muore. Rugiade invoca e pioggie Quell’agonia pel suolo: La dolcezza d’un bacio, La voluttà d’un’ora, Per chi soffre e lavora Solo. Ma tutto brucia e sfolgora, Tutto è riposo e oblìo; Nell’alidor terribile Sopra la terra ignava Solennemente grava Dio.
Questa notte m’apparve al capezzale Una bieca figura. Ne l’occhio un lampo ed al fianco un pugnale, Mi ghignò sulla faccia.—Ebbi paura.— Disse: «Son la Sventura.» «Ch’io t’abbandoni, timida fanciulla, Non avverrà giammai. Fra sterpi e fior, sino alla morte e al nulla, Ti seguirò costante ovunque andrai.» —Scostati!… singhiozzai. Ella ferma rimase a me dappresso. Disse: «Lassù sta scritto. Squallido fior tu sei, fior di cipresso, Fior di neve, di tomba e di delitto. Lassù, lassù sta scritto.» Sorsi gridando:—Io voglio la speranza Che ai vent’anni riluce, Voglio d’amor la trepida esultanza, Voglio il bacio del genio e della luce!… T’allontana, o funesta.— Disse: «A chi soffre e sanguinando crea, Sola splende la gloria. Vol sublime il dolor scioglie all’idea, Per chi strenuo combatte è la vittoria.» Io le risposi:—Resta.—
La donna volge i freddi occhi velati su l’inquieta folla che la guarda. La sua bocca ha una smorfia un po’ beffarda. Sotto l’altera maschera bugiarda vibra un fascio di nervi esasperati. Ella non dice: No.—Confessa tutto, tutto, l’ora, la via, l’uccisïone fulminea, il perchè di passïone, il perchè d’odio.—Solita canzone…. Non abbassa la donna il ciglio asciutto. Non ispera, nè invoca essere assolta. Porta in sè la sua pena, il suo rimorso, livida impronta di ferino morso su membra vive, sin che duri il corso della vita.—Nel cuore è già sepolta.— Che vuol dunque da lei quella togata gente che l’attanaglia con indagine acuta, e scruta le gelose pagine delle sue notti d’ombra, e la compagine squarcia della sua carne disperata?… Che vuol dunque da lei quell’altra gente trepida, verso il suo pallor protesa coi più torbidi sensi, e nell’attesa di più torbidi e rei palpiti, presa dall’odore del sangue, inconsciamente?… L’antica anima tragica che dorme in ogni petto, su ogni fronte appare. Chi or non vide, nel sogno, dentro un mare di sangue il suo nemico boccheggiare, e non tremò nel desiderio enorme?… Tra la folla e la donna ondeggia il vampo della ferocia originaria: sale per vena e vena la follia del male: d’un’angoscia inconfessa ognun trasale, sotto le ciglia ogni pupilla ha un lampo.
Solaria, il vento del sud scrolla e devasta il tuo pergolato di glicini. Ne piombano a terra i corimbi, chicchi violetti di grandine, pesanti d’un peso di morte. Così a te traboccan dagli occhi, nell’ora del torbido amore, le lacrime; ma non si raccoglie il pianto d’amore, non si raccolgono i fiori caduti del glicine. Plinio Perilli Melodie della terra. Novecento e natura Crocetti Editore 1997
Era grande ed oscuro. Un divo soffio Di genio la sua fronte irrequïeta Baciava. Ai sogni, ai palpiti Cresciuto de l’idea, Bello, gentile, libero, poeta, Incompreso dal volgo, egli vivea. A lui gli astri e la luce—a lui la mistica Armonia de le cose un sovrumano, Un fervido linguaggio Parlava.—Ei che ghirlande Non chiedeva a la gloria, a un cuore invano Mendicò amor.—Gli fu negato.—Grande Ed oscuro, moriva!… In solitudine Fosca, moriva.—Ride il sol lucente Su l’invocato tumulo; Lunge, trilla e si perde Un canto alato come augel fuggente Per la serena maestà del verde; Sotto, fra i chiodi de la cassa, sfasciasi La domata materia.—A la feconda Terra, la terra ignobile Torna.—De la tua mesta E commovente poesia profonda, Del tuo genio, di te, vate, che resta?… * Tu, tu sola che amavi, e viva e rosea Del sol bevesti i luminosi rai, Tu che ne i lunghi spasimi D’intenso ardor fremesti, Tu, sanguinante ma non vinta mai, Sconosciuta e virile anima, resti!… Quando tace la terra, e nel silenzio Cala il bacio de gli astri al fior sopito, E come alito d’angeli Via per gli spazi immensi Un sospiro d’amor corre infinito, Tu in quell’alito vivi, e guardi, e pensi. Quando il nembo s’addensa, e il vento indomito Fischia, e pei boschi impazza la bufera, E rossi lampi guizzano Su ne l’accesa vôlta, Con la procella minacciosa e nera Tu soffri e gemi, nei ricordi avvolta. Quando, vanendo per le limpide aure, Sale un canto di donna al ciel gemmato, E di carezze e d’impeti E di desii supremi Parla e si lagna nel ritmo inspirato, Tu in quel canto, vibrante anima, tremi! Fin che sui rivi ondeggieranno i salici Fin che tra i muschi fioriran le rose, Fin che le labbra al bacio E a la rugiada il fiore Aneleranno, e le create cose Avviverà, febèa scintilla, amore: Ne le nozze dei gigli, ne la gloria Irrefrenata dei meriggi ardenti, In alto, de le tremule Stelle nei bianchi rai, Ne gli abissi del mar, librata ai venti, Nel mistero del cosmo, alma, vivrai.
T’ho vista ieri, irta ferrigna immobile dietro le sbarre d’una vasta gabbia. Non guardavi già tu la gente piccola che ti guardava.—Ferma sugli artigli d’acciajo, gli occhi disperati al torbido cielo volgevi, al cielo!…—Uno scenario t’hanno fatto di rocce, per illuderti: perchè tu creda ancor d’essere in patria, fra pietrami di grotte e di valanghe, fra protervie di rupi e di ciclopici templi, sospesi in vetta a’ precipizii, in faccia al vento che a procella sibila. —Ma non t’illudi tu.—Vedi le sbarre, sai che è finita.—Io voglio ora una storia dirti d’uomini saggi, che le proprie mani a foggiar la propria gabbia adoprano, —d’oro o di ferro—quasi sempre d’oro:— e bene assai la temprano e la rendono inaccessa, e là dentro si rinserrano, e si lamentan poi d’essere in carcere, guardando il mondo co’ tuoi occhi d’odio vano e di vana disperazïone. Tu almeno, tu fosti ghermita al laccio, fosti ferita, tu, nella battaglia feroce, prima d’esser come un cencio ignobile fra mano al tuo nemico. E stai senza speranza e senza gemito vile; e chi passa ti può creder morta o sculta in bronzo, così immota e diaccia t’irrigidisci, chiusa in un disdegno indomito per tutto che non sia l’ebbrezza della libertà perduta. E, se tu comprendessi, con un colpo di rostro lacerar vorresti il volto di chi t’offende con la sua pietà.
Magro dottore, che con occhi intenti Per cruda, intensa brama, Le nude carni mie tagli e tormenti Con fredda, acuta lama, Odi. Sai tu chi fui?… Del tuo pugnale Sfido il morso spietato; Qui ne l’orrida stanza sepolcrale Ti narro il mio passato. Sui sassi de le vie crebbi. Non mai Ebbi casa o parenti; Scalza, discinta e senza nome errai Dietro le nubi e i venti. Seppi le notti insonni e l’inquïeto Pensier della dimane, L’inutil prece e il disperar segreto, E i giorni senza pane. Tutte conobbi l’improbe fatiche E le miserie oscure, Passai fra genti squallide e nemiche, Fra lagrime e paure; E finalmente un dì, sovra un giaciglio Nitido d’ospedale, Un negro augello dal ricurvo artiglio Su me raccolse l’ale. E son morta così, capisci, sola, Come un cane perduto, Così son morta senza udir parola Di speme o di saluto!… Come lucida e nera e come folta, La mia chioma fluente!… Senza un bacio d’amor verrà sepolta Sotto la terra algente. Come giovine e bianco il flessuoso Mio corpo, e come snello! Or lo disfiora il cupido, bramoso Bacio del tuo coltello. Suvvia, taglia, dilania, incidi e strazia, Instancabile e muto. Delle viscere mie godi, e ti sazia Sul mio corpo venduto!… Fruga, sinistramente sorridendo. Che importa?… Io son letame. Cerca nel ventre mio, cerca l’orrendo Mistero della fame!… Scendi col tuo pugnale insino all’ime Viscere, e strappa il cuore. Cercalo nel mio cor, cerca il sublime Mistero del dolore!… Tutta nuda così sotto il tuo sguardo, Ancor soffro; lo sai?… Colle immote pupille ancor ti guardo, Nè tu mi scorderai: Poi che sul labbro mio, quale conato Folle di passïone, Rauco gorgoglia un rantolo affannato Di maledizïone.
Fra l’auree spiche, in faccia al rutilante Sole che tutta incendia la vallata, Nel solco fumicante, Su la tepida bocca ei l’ha baciata. Ride il ciel senza nube e ride il grano A la coppia rapita; Inneggia intorno al bacio schietto e sano Potentemente l’universa vita. Sanguigne olezzan le corolle schiuse Come bocche anelanti nell’amore; Sale per l’aure effuse Il canto allegro de la terra in fiore. S’abbraccian sorridendo in mezzo al verde I due giovani amanti, Mentre un trillo di rondine si perde Sotto l’arco dei cieli azzurreggianti; E dappertutto, nei cespugli ombrosi, Nei calici dei fiori, entro la bionda Messe e nei nidi ascosi, Freme il bacio che avviva e che feconda.
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